In attesa di trovare il proprio posto nel mondo, Holly Golightly cerca ogni giorno rifugio nella gioielleria Tiffany a New York. Non è necessario entrarvi: già osservare la vetrina, dove sono esposti diademi e gemme, rappresenta un conforto per lo spirito. Ma la protagonista del romanzo breve di Truman Capote “Colazione da Tiffany” non è una snob dedita al lusso e irretita dal superfluo. Nel luccichio di quei gioielli – lei che conduce una vita sregolata, stile bohémien – vede come riflessa la scintilla di un’esistenza che vorrebbe semplice, senza pensieri.
Nonostante l’apparenza, Holly non cerca lo sfarzo: il gioiello è solo un simbolo, e non rischia di corrompere la natura umana. La mattina – mentre gusta un pezzo di cornetto e tiene in mano, come una sorta di trofeo, un bicchiere di caffè – Holly contempla la vetrina e nel sognare sfoga le sue paturnie. Con un linguaggio brioso e scattante, la storia della protagonista è raccontata da un aspirante scrittore, suo amico e vicino di casa. L’opera si configura come un flashback punteggiato dalle vicissitudini della protagonista (perderà il bambino che ha in grembo, verrà arrestata), la quale frequenta il bel mondo e persone danarose: con nessuna, tuttavia, riesce a stabilire un vero rapporto di fiducia. L’unico vero legame lo ha con l’adorato gatto, rosso e senza nome.
Capote crea dunque un contesto caratterizzato da una incomunicabilità inquietante, che si manifesta con paradossale evidenza nelle feste capaci di gremire vastissimi saloni, ma dove in realtà nessuno di parla. E se parla, lo scambio è solo superficiale, non adatto a favorire tra gli interlocutori un rapporto serio. Non a caso il suono della musica sovrasta, in queste circostanze, il suono delle parole: ogni possibile dialogo è interdetto. E’ lungo questo crinale che si sviluppa l’esperienza di vita di Holly, alla continua ricerca di punti di riferimento. La morte del fratello Fred in guerra costituirà per lei un colpo durissimo: nel mondo in cui Holly cerca il “giusto posto” vi sono tanti vuoti che l’amore e l’amicizia non riescono a colmare. Chi troverà il proprio posto nel mondo è il gatto (in una famiglia che ne prenderà amorevolmente cura).
Se Holly, che alla fine parte per il Brasile, sia riuscita nella stessa impresa, non si sa: rimane l’auspicio formulato, in tal senso, dall’aspirante scrittore. Truman Capote non digerì mai il fatto che il suo romanzo avesse guadagnato fama solo dopo che ne fu realizzata la trasposizione cinematografica. Come non accolse con favore che il film, girato nel 1961 per la regia di Blake Edwards, avesse introdotti forti cambiamenti rispetto al libro. Basti pensare al finale: meno incerto e più lieto quello confezionato nella versione cinematografica. Ma lo stesso Capote dovette inchinarsi alla grandezza di Audrey Hepburn, di ineffabile bellezza nelle vesti di Holly.