Per inseguire un sogno di bellezza, lo spirito umano s’ingegna per individuare e poi realizzare paradigmi di riferimento e forme estetiche in grado di coronare l’ambizioso obiettivo. E se il cammino che porta a quel sogno è accidentato, la volontà scavalca l’ostacolo e quindi finisce per conseguire l’agognato premio. A quel sogno di bellezza aspirarono coloro che aderirono al Futurismo in Sicilia, in un’epoca ricca di fermenti culturali e gravida di implicazioni sociali. Sulle briose dinamiche di quell’epoca si concentra il volume di Andrea G.G. Parasiliti “All’ombra del vulcano, Il Futurismo in Sicilia e l’Etna di Marinetti” (Firenze, Leo S. Olschki Editore, 2020, pagine 287, euro 30), che anzitutto si configura come un devoto omaggio al grande patrimonio culturale della regione. Infatti da un lato sono rievocati e analizzati significativi aspetti della letteratura siciliana intorno ai cenacoli futuristi di Messina e di Catania, dall’altro sono proposte acute riflessioni sulla tradizione editoriale ragusana intorno alla prestigiosa tipografia Piccitto, in cui si specchiano la capacità e il coraggio dell’imprenditoria di un’area periferica del Paese come il territorio di Ragusa.
Nella prima parte il libro, nel porre al vaglio le salienti caratteristiche del Futurismo in Sicilia, si focalizza su due riviste del movimento: “La Balza Futurista”, ovvero, a detta di Marinetti, “la prima rivista veramente futurista”, stampata a Ragusa nel 1915; “Haschisch”, la rivista del futurfiumanesimo siciliano, fondata a Catania nel 1921. Il volume presenta poi l’edizione critica delle lettere, inedite, di Salvatore Lo Presti, uno dei principali animatori della rivista, lettere inviate dal giovane catanese al padre da Fiume, durante la propria esperienza di volontario presso la Città di Vita, retta dal comandante Gabriele D’Annunzio. Sono sei lettere – la prima è datata 29 settembre 1920 e l’ultima 28 dicembre 1920 – che illuminano il contesto, gravido di sofferenze, passioni e aspirazioni, nel quale nacque e si sviluppò la rivista “Haschisch”. Come spiega l’autore – laureato in Filologia moderna presso l’Università Cattolica di Milano e attualmente Post-doctoral Fellow del Department of Italian Studies della Univerisity of Toronto – per lo studio delle due riviste sono state consultate biblioteche, archivi pubblici e privati. Sono stati gli archivi privati a riservare le sorprese più importanti fra inediti, libri rari, immagini e materiale probatorio. . Al riguardo si è rivelato una miniera di informazioni l’archivio di Mario Shrapnel, scrittore futurista e fiumano, direttore di “Haschisch”.
Nella seconda parte il volume sposta l’attenzione sulla Sicilia del Futurismo, vale a dire sulla Sicilia di Marinetti, che, scrive Parasiliti, è “fatta essenzialmente di un elemento, il più congeniale al suo temperamento, vale a dire il Vulcano: l’Etna”. Di primo acchito, questa lettura potrebbe sembrare un po’ bislacca. C’è infatti chi, come Salvatore Ferlita, vede nell’amore di Marinetti per l’Etna “una passione poco futurista”, come “un cortocircuito della letteratura”. Un’osservazione, questa, che sembrerebbe impossibile da confutare. Infatti, di fronte alle innovazioni tecnologiche del secolo scorso che portano alla nascita dell’avanguardia futurista, l’universo viene ripensato artificialmente. In questo scenario il tempo e lo spazio inducono alla distruzione della sintassi e aprono la strada alla diffusione delle “parole in libertà”. “E’ allora lecito pensare – afferma l’autore – che in questo mondo dominato dalla tecnica non ci sia più spazio per la natura”. In realtà, nell’intera produzione futurista di Marinetti è dato di riscontrare un elemento naturale quale musa ispiratrice del suo pensiero: il Vulcano. Ess si configura come una macchina naturale. Questa macchina “ha un nome, e si chiama Etna. Ha pure un ruolo, ed è quello di ‘padre’ di Marinetti e di ‘Gran maestro’ di Futurismo”.
Già “Le Roi Bombance. Tragedie satirique” (1905) introduce alla poesia del vulcano, che cavalca l’onda lunga della tradizione che si rifà a Victor Hugo. In questa opera teatrale si trova “L’idiota”, il poeta – alter ego di Marinetti – il quale definisce la propria bocca “crepaccio di un vulcano” e afferma che le proprie labbra sono capaci di inondare i detrattori “di un sangue più ardente della lava!”. Da quel momento in poi – evidenzia Parasiliti – il vulcano sarà protagonista dell’opera marinettiana: da “L’Aeroplano del Papa” a “Zang Tumb Tuum”, dall’opera teatrale “Vulcano” alla “Litolatta”, fino all’”Aeropoema di Gesù”, opera postuma. A proposito dell’Etna, meritoriamente l’autore richiama un passo delle “Rabide sorgenti del gran fiume di fuoco sull’Etna” (1910) di Federico De Roberto: “Poeti antichi e moderni – dichiara -, scrittori d’ogni età e d’ogni paese hanno cantato e decantato l’Etna per l’enormità della sua mole e la terribilità della sua ira; pochi hanno detto che questo monte tremendo è anche uno dei più belli. Vi sono tutti i climi, dall’eterno tepore delle radici immesse nel mare di Venere e nei fiumi venerati un tempo come divinità, al gelo terno dei culmini. Vi sono per conseguenza tutte le vegetazioni: dalle siepi delle opunzie tropicali, dalle palme e dalle agavi africane, dagli ranci e dalle vigne orientali, ai boschi di pini e di faggi, di betulle e di elci della zona alpestre ed alle crittogame delle regioni artiche”. E intorno all’Etna s’intrecciano la leggenda e la storia. “Enchelado – scrive De Roberto – vi fu sepolto ed Empedocle vi scomparve; vi errarono gli Dei dell’Olimpo e i Cavalieri della Tavola Rotonda, Proserpina e Re Artù”.
L’amore per questo vulcano è pienamente condiviso da Marinetti che in una lettera scrive: “Sono ossessionato dall’Etna. Ho bevuto all’orlo di quel cratere una nuova ispirazione che certamente stupirà il mondo”. E, a ben guardare, nella forza scintillante e dirompente del vulcano trovano una calzante esemplificazione le caratteristiche fondanti del Futurismo, illustrate nel “Manifesto”: “Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerarietà. Bisogna che il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali. Non v’è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro”.
Illuminante poi sono “I consigli del vulcano” (in “L’Aeroplano del Papa”), in cui l’io narrante-Marinetti scrive: “O Vulcano, io odo da molto tempo il rotolare continuo della tua voce turbolenta che freme nel rauco camino della tua gola. E tanto dimentico a contemplare l’eruzione delle tue parole arroventate, he non ho ancora sgrovigliata la sfolgorante matassa del tuo pensiero”. Ma non parla solo l’io narrante, ma anche il vulcano, nel segno di un dialogo spumeggiante e coinvolgente. “Io non ho dormito – esso afferma -. Lavoro senza fine per arricchire lo spazio d’effimeri capolavori! Io veglio alla cottura delle rocce cesellate…Sono incessantemente commisto alle mie scorie. La mia vita è la fusione perpetua dei miei frantumi. Distruggo per creare ed ancora distruggo per modellare statue tonanti che subito spezzo con lo schifo e il terrore di vederle durare”. In questa laboriosa opera il vulcano ha per complice “la luna menzognera”, vale a dire “la più imbellettata delle cortigiane siderali, che in nessun luogo mai è tanto carezzevole, lusinghiera e persuasiva”.