È quanto mai sottile, se non impercettibile, il confine – in merito ai registi cinematografici – fra legittima esigenza di perfezionismo e ossessione smodata per la cura del dettaglio. Nel “Monello” Charlie Chaplin fece girare 53 volte una scena al bambino protagonista, l’attore Jackie Coogan, cui si chiedeva “semplicemente” di correre e di svoltare dietro l’angolo di una strada. Non gli fu da meno Stanley Kubrick che sul set di “Shining” costrinse Scatman Crothers ad attraversare una strada 50 volte: doveva farlo con naturalezza e senza parlare. Ma solo al cinquantesimo tentativo il regista si ritenne soddisfatto dell’ “effetto disinvolto” che si era prefissato di ottenere redigendo il copione del film. Per nove volte Alfred Hitchock, dal canto suo, girò la celeberrima scena della doccia (dura appena 45 secondi) nel sinistro motel di Norman Bates in “Psycho”. L’attrice Janet Leigh, a forza di urlare di fronte a quel pugnale incombente, rimase senza voce (e si dice anche che dopo quella scena non fece più né sonni né sogni tranquilli). Eloquente è poi l’iniziativa presa dal personale al servizio di James Cameron, regista di “Titanic” e di “Avatar”: sulla t-shirt ciascuno si era fatto stampare la frase “Nulla mi può ormai mettere paura, perchè io lavoro per James Cameron”, sempre timoroso che anche la più lieve pecca potesse sciupare l’impeccabile veste del film. Ci sono poi registi esigenti ancor prima di cominciare le riprese: ovvero al momento di scegliere gli attori. Vennero da ogni dove le donne che si sottoposero al provino per interpretare l’ambitissimo ruolo di Rossella in “Via col vento” (alla fine se lo aggiudicò Vivien Leigh). Tra le aspiranti figurava anche la già ben affermata Katharine Hepburn, sicura in cuor suo di ottenere la parte. Ma quando il regista, Victor Fleming, posò lo sguardo su di lei, sentenziò: “Un tipo come Rhett Butler non correrebbe per dieci anni dietro a una donna con il collo così lungo!”.