Unanime era il giudizio degli amici di Amedeo Modigliani: spesso lo avevano scoperto affamato, talvolta ubriaco, ma mai lo avevano visto “mancare di grandezza”. Mai in lui avevano sorpreso “un sentimento basso”. Grandezza e nobile sentire furono le virtù principali della sua arte, manifestatasi con risultati eccelsi nella pittura e nella scultura. Eppure Modigliani non esauriva il suo talento in un quadro o in un marmo: vibrante era la sua passione per la letteratura. Era imbevuto di tradizioni culturali italiane. Come sottolinea il critico letterario Leone Piccioni, Modigliani declamava a memoria versi di classici, da Dante a Carducci, da Leopardi a D’Annunzio: un bagaglio che si porto con sé, e a cui rimase sempre fedele, quando dalla natia Livorno si trasferì a Parigi. Nella capitale francese egli vide il luogo “perfetto” per dare sfogo al suo sentire d’artista. Parigi, allora, era considerata il simbolo degli inquieti, degli sradicati, dei profeti veri e presunti, come pure degli illusi e dei velleitari. Con diverse gradazioni, Modigliani assommava in sé tutte queste sfaccettature.
L’anno in cui Modigliani approdò a Parigi, nel 1906, moriva Cézanne. Non è solo una coincidenza, ma qualcosa di più, perché dal maestro il giovane aveva già appreso “lezioni” su come impostare una figura nell’intricato gioco di geometrie e colori. Volle dunque farsi continuatore, in qualche modo, dell’opera dell’artista francese, rimanendo comunque focalizzato su altri maestri, Matisse e Picasso. All’inizio della carriera, Modigliani fu combattuto tra il disegno e la scultura: quale via intraprendere? Quale delle due gli avrebbe procurato notorietà? Come raccontò la figlia Jeanne, il padre, quando tornava a Livorno dopo alcuni viaggi, si precipitava dalle parti di Carrara a cercare e a tagliare marmi.
Nell’immaginario collettivo sono i suoi quadri a consacrarne il valore e la visibilità. In particolare, a suggellarne la cifra stilistica sono i ritratti femminili dai volti stilizzati e dai colli affusolati. Da “Busto di giovane donna” a “Il grande busto rosso”, da “Jeanne Hébuterne con collana” a “Giovane donna con la frangia” si sviluppa una galleria di ritratti caratterizzati da una singolare sintesi di classicismo ed espressionismo: la posa del soggetto è composta, solenne, ma i tratti che ne scandiscono la figura non risultano armoniosi e lineari, ma spigolosi e nervosi. Il contrasto non sfocia in una confusa miscellanea di stili. Al contrario, esso produce un’opera intrigante, dove anche la luce e l’ombra sono percepite non come antagoniste, ma come alleate, in funzione del felice esito dell’intera operazione artistica.
Si dice che Modigliani fosse velocissimo nell’eseguire le sue opere: una o due sedute erano più che sufficienti. Una volta terminati, non ritoccava mai i suoi dipinti. Ci furono personalità illustri che posarono per lui: da Pablo Picasso a Diego Rivera. Anche Jean Cocteau si fece ritrarre da Modigliani. Riguardo alla speditezza con cui eseguiva i suoi lavori, illuminante è l’episodio avvenuto sei mesi prima della morte. Il 16, 17 e 18 giugno, per un totale di sette ore, posò per un ritratto Roger Dutilleul, uno dei suoi maggiori collezionisti. Quando questi chiese all’artista di continuare a lavorare sul dipinto per rifinire alcuni dettagli, si sentì apostrofare: “Se volete che sciupi il dipinto, posso continuare”.
Il collo lungo, in verità, caratterizza anche i ritratti degli uomini, a testimonianza di una cifra stilistica sentita nel profondo dall’artista. Esemplare, in merito, è il dipinto che ha per soggetto Léopold Zborowski. Caratteristica del quadro è il colletto della camicia aperto e scomposto, da cui emerge una testa giovanile: la capigliatura disordinata e la barba lunga rimandano più al ruolo di poeta che a quello di commerciante a cui Zborowski si era dedicato sin dall’inizio della prima guerra mondiale.
Per lavorare, spiegava Modigliani, aveva bisogno di un essere vivo, di vederselo davanti, così da poterne cogliere gli aspetti salienti e sublimarli in radi tratti e pochi toni di colore, per esprimerli nella loro essenza. Alcuni critici hanno parlato di “rivoluzione” a proposito dell’arte di Modigliani. Certo è che più di una volta confessò ad amici e colleghi che avrebbe voluto usare il rasoio di Occam per fare piazza pulita di quanto, sul piano della produzione artistica, aveva alle spalle. A ben guardare, tuttavia, la sua non fu una vera rivoluzione, piuttosto un rimpasto originalissimo e, per certi versi, spiazzante, di un intrico di tradizioni (di ispirazione classica, espressionista, fauve, cubista) destinate a confluire in un nucleo dal tratto inconfondibile.