Se nei romanzi George Orwell bandisce ogni prudenza diplomatica per denunciare i mali della società, nei saggi e negli articoli la sbrigliata spregiudicatezza nel lamentare misfatti, miopie e ipocrisie si manifesta con pari veemenza. Ne è eloquente testimonianza l’articolo, di eccelsa lungimiranza e pressante attualità, scritto il 19 ottobre 1945 per il “Tribune” e intitolato “You and the Atomb Bomb” in cui lo scrittore inglese sottolinea che “molto probabilmente entro i prossimi cinque anni questa bomba ci farà saltare tutti in aria”. Eppure, questa prospettiva, assai concreta, “non ha suscitato così tante discussioni come ci saremmo aspettati”.
I giornali – rileva Orwell nell’articolo vergato due mesi dopo i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki – hanno pubblicato numerosi diagrammi di protoni e neutroni, di non molto interesse per l’uomo comune, ripetendo “l’inutile affermazione” secondo cui la bomba “dovrebbe essere posta sotto il controllo internazionale”. Viene dunque eluso un interrogativo fondamentale, ovvero: “Quanto è difficile fabbricare questi aggeggi?”. Le informazioni, in merito, che il grande pubblico possiede sono giunte in modo indiretto, a seguito della decisione del presidente statunitense Truman di non consegnare alcuni segreti all’Urss.
“Alcuni mesi fa, – scrive il saggista – quando la bomba era ancora soltanto una voce, si era diffusa la convinzione che la scissione dell’atomo fosse ormai un problema da poco per i fisici, e che quando l’avessero risolto, una nuova e devastante arma sarebbe stata alla portata di tutti, o quasi. Da un momento all’altro, così si diceva, qualche pazzo solitario in un laboratorio avrebbe potuto fa saltare in aria la civiltà con la stessa facilità con cui si accende un fuoco d’artificio”. Se ciò fosse stato vero, l’intero corso della storia ne sarebbe stato bruscamente modificato. Sarebbe svanita “ogni distinzione” tra Stati grandi e piccoli, così come ogni potere dello Stato sull’individuo. Tuttavia, dalle osservazioni del presidente Truman risulta che la bomba è “incredibilmente costosa” e che la sua produzione richiede un enorme sforzo industriale, sostenibile solo da tre o quattro Paesi.
Questo, osserva Orwell, è un punto fondamentale perché può significare che la scoperta della bomba atomica, lungi dall’invertire la storia, non farà altro che intensificare le tendenze che si sono già manifestate da diversi anni. “E’ un luogo comune – rileva – quello secondo cui la storia della civiltà sia in gran parte una storia delle armi. In particolare, più e più volte è stato sottolineato il legame tra la scoperta della polvere da sparo e il rovesciamento del feudalesimo da parte della borghesia. Credo che in generale si possa affermare la seguente regola, anche se non dubito possano presentarsi delle eccezioni, ovvero le epoche in cui l’arma dominante è costosa o difficile da produrre tendono ad essere epoche di dispotismo, mentre quando l’arma dominante è semplice ed economica, la gente comune ha una possibilità”.
Secondo questa prospettiva, per Orwell carri armati, corazzate e bombardieri sono armi “intrinsecamente tiranniche”, mentre fucili, moschetti, archi e bombe a mano sono “intrinsecamente democratiche”. Un’arma complessa rende “il forte sempre più forte”, mentre un’arma più semplice dona al debole “gli artigli” con cui difendersi. In un altro passo dell’articolo si afferma che la grande era della democrazia e dell’autodeterminazione nazionale fu l’epoca del moschetto e del fucile. Dopo l’invenzione della pietra focaia e prima dell’invenzione della cartuccia a percussione, il moschetto era un’ara efficiente e poteva essere prodotta ovunque. Questa combinazione ha reso possibile “il successo” della rivoluzione americana e francese e ha fatto sì che un’insurrezione popolare divenisse “un affare più serio di quanto non lo sia ai nostri giorni”.