Quando lo sconfitto non ha perso. Una tale valutazione non incontrerebbe certo il favore di Matteo Berrettini: la considererebbe vuota retorica, nonché un’assai magra consolazione. Eppure l’incontro – mercoledì sera, secondo turno di Wimbledon, vinto da Jannik Sinner – al di là della fredda statistica, si è rivestito di un’ineffabile magia. Un incontro che ha onorato al meglio il tempio del tennis mondiale. I due italiani hanno ingaggiato una lotta serrata, durata quasi quattro ore. La disarmante capacità atletica dei tennisti è stata impreziosita da tocchi di sublime qualità e da scambi mozzafiato. Il pubblico, che gremiva le tribune, più di una volta è andato in visibilio: si è alzato in piedi e, grato, ha tributato ai due fieri contendenti fragorosi applausi, a coronamento di “colpi” da cineteca. Nonostante la posta in palio, Sinner e Berrettini hanno dato prova di impeccabile sportività. La stretta di mano, alla fine dell’agone, non è stata solo protocollare, come pure non è stato solo rituale il battito di mani che Sinner ha rivolto al connazionale quando questi, comprensibilmente deluso, ha lasciato il campo. Dopo una partita così avvincente, giocata sempre sul filo del rasoio (tre tie-break) l’impressione, alla fine, è proprio che abbiano vinto tutti e due, o che nessuno abbia perso. Mentre l’Italia del calcio è uscita sconfitta, dagli Europei, in modo inequivocabile (e senza combattere), l’Italia del tennis, con la partita di mercoledì sera, ha fatto onore allo sport, al torneo più importante del mondo e al bel Paese. Il grazie va dunque reso a chi ha vinto, a Sinner, e…a Berrettini.