Non poteva che scaturire dal culto del verso il dialogo tra Giorgio Caproni e Vittorio Sereni, vale a dire tra due protagonisti della poesia italiana del secondo Novecento. Scambiata tra il 1947 e il 1983, la loro corrispondenza si pone anzitutto come espressione della consapevolezza del valore insito nella poesia, la quale va difesa dalle brutture e dalle distorsioni del mondo esterno. Al contempo essa va promossa perché strumento per cancellare quelle brutture e per raddrizzare quelle distorsioni. Sulla base di tale convinzione si radica in entrambi la determinazione a farsi custodi della poesia dell’altro, nel segno di una comune missione atta a preservare il messaggio che sgorga da ogni singolo verso.
Il significato legato a questa corrispondenza è indagato nel libro a cura di Giuliana Di Febo-Severo “Giorgio Caproni – Vittorio Sereni. Carteggio 1947-1983”. Il colloquio nasce dallo scambio di copie di libri pubblicati e dalle rispettive risposte di avvenuta lettura, di vicinanza umana e poetica, nonché dall’auspicio di incontri più frequenti.
“I principali nodi tematici che emergono – scrive Giuliana Di Febo-Severo – sono la custodia della poesia dell’altro, intesa come patrimonio mnemonico e viatico del miglioramento personale, e la conseguente necessità dell’altrui poesia per nutrire la propria”. A rafforzare il legame concorrono, tra l’altro, le traduzioni d’autore: in particolare quella, condivisa, della prima poesia di René Char. La storia del sodalizio è ricostruita – spiega la curatrice – nella forma di un racconto di lungo respiro, fondato sia sulla corrispondenza in senso stretto, ovvero quella esplicita, sia su quella implicita (sommersa e frammentaria ma non meno illuminante) rappresentata dalle biblioteche d’autore, segnatamente dai libri dell’uno posseduti e spesso sottolineati dall’altro.
L’occasione del primo contatto epistolare avvenne grazie al riconoscimento della loro comune preminenza nel quadro della giovane poesia contemporanea. L’attestazione di eccellenza venne dall’estero, in particolare da quell’”unicum” politico e culturale rappresentato dalla Spagna franchista: l’editore Juan Masoliver chiese a Vittorio Bodini, nel 1847, di preparare una pubblicazione “di lusso” con una ristrettissima rosa di poesia italiana di quel tempo. Insieme allo stesso Bodini e a Giorgio Bassani, all’epoca conosciuto soprattutto per le sue raccolte poetiche, si pensò ad antologizzare proprio Caproni e Sereni.
Scrive Caproni: “Lo conobbi soltanto quando apparve da Vallecchi il volumetto intitolato ‘Poesie’. L’esemplare linearità delle prime poesia di Vittorio: poesie che amo moltissimo, e molte delle quali so ancora a memoria”. Dall’elogio in astratto, per quanto sinceramente sentito, al vero e proprio tributo critico il passo è breve. E sarà sempre Caproni a prendere l’iniziativa: recensirà “Diario d’Algeria” su “La Fiera Letteraria”.
A sua volta Sereni avrà spesso occasione di tessere le lodi del suo compagno di penna o, fatto ancora più significativo, di difenderlo da ingiuste critiche. Alla poesia di Caproni si rimprovera di essere “facile” per la sua generale semplicità e per la preponderanza della canzonetta. “La poesia di Caproni – scrive Sereni – ha in sé questa dote rara: di imporsi a prescindere dal confronto. Se poi ci si prova a operarlo contrapponendogli un testo di un altro poeta, sembrerà che la materia verbale di questo sia, come dire?, più pesante, più opaca, più condizionata dalle regole che reggono il discorso comune”.