Ne “Il dottor Zivago” il microcosmo si fonde con il macrocosmo. La denuncia, da parte di Boris Pasternak, di una precisa fase storica trascende infatti il contingente e si sublima nell’accusa dei mali che infestano il mondo, primo fra i quali la dittatura che opprime la libertà e lede la dignità della persona. Nelle vicende, sofferte e per certi versi rocambolesche che si legano alla storia del suo capolavoro, si specchia la storia stessa di Pasternak, poiché lo scrittore russo fu perseguitato dal regime sovietico con una pervicace ostilità e con una puntigliosa determinazione degne di Javert, il poliziotto che dà la caccia al galeotto Jean Valjean ne “I Miserabili”.
Il romanzo narra la vita del medico e poeta Jurij, sposato con la cugina Tonia e poi travolto dalla passione per la crocerossina Lara. Il romanzo, dal tragico finale, è contraddistinto da un ritmo incalzante, intessuto di separazioni e ricongiungimenti che si sviluppano sullo sfondo della guerra civile tra russi bianchi e russi rossi a seguito della Rivoluzione d’ottobre. Nell’allora Unione Sovietica il romanzo, che graffiava la facciata eroica propagandata dal regime comunista, fu rifiutato, all’inizio del 1956, dalla rivista moscovita “Novyj Mir”.
L’autore veniva considerato “non in linea” con il regime e quindi un reazionario. L’opera vide la luce in patria solo nel 1988. Il Nobel gli fu assegnato nel 1958, due anni prima della sua morte, ma non potè ritirarlo per l’opposizione di Nikita Chruscev, a cui dovette indirizzare una domanda di grazia poiché accusato di tradimento, escluso dall’Unione degli Scrittori, minacciato di espulsione dall’Urss e privato della nazionalità.
Un tratto che contraddistingue lo scrittore è il profondo amore per la sua “dolce” terra. Più di una volta gli fu offerta la possibilità, in quanto perseguitato dal regime sovietico, di lasciare la Russia: offerta sempre declinata. In una lettera a Chruscev, scrisse: “Io sono legato alla Russia dalla nascita. La mia vita e il mio lavoro sono qui. Lasciare dunque la mia terra equivarrebbe alla morte”.
Nella vicenda editoriale de “Il dottor Zivago” recitò una parte significativa Vladimir Nabokov che, durante le lezioni in diversi atenei statunitensi, mosse una veemente critica nei riguardi del romanzo, da lui definito “un perverso connubio” tra la buona tradizione tolstoiana e “la pessima pratica del realismo socialista”. Secondo Nabokov, Pasternak aveva evitato di affrontare il bisturi nelle viscere di una guerra civile susseguente alla Rivoluzione d’ottobre, e aveva trattato Zivago e Lara come due “monadi acomuniste” e non anticomuniste. In sostanza, Pasternak avrebbe dovuto spingere ancora più a fondo una critica rimasta “in mezzo al guado”.