Nel passaggio dal “Fermo e Lucia” ai “Promessi sposi” Manzoni ha rimosso alcune scene in cui sentiva troppo dominanti la truce violenza e il ribollire delle passioni. Di conseguenza è stato soppresso il vivido accenno alla gelosia sorta nel cuore di don Rodrigo all’annuncio del fidanzamento di Lucia. Così facendo, lo scrittore ha tolto dal capo di don Rodrigo l’aureola dell’eroe romantico, sebbene fosse ritratto in termini negativi. In un passo del “Fermo e Lucia” si legge: “La passione di don Rodrigo per Lucia, nata per ozio, irritata e cresciuta dalle ripulse e dal disdegno, era diventata violenta quando conobbe un rivale. La fantasia ardente e feroce di don Rodrigo si andava allora raffigurando quella Lucia contegnosa, ingrugnita, severa, se l’andava raffigurando umana, soave, affabile con un altro, egli immaginava gli atti e le parole, indovinava i movimenti di quel cuore che non erano per lui, che erano per un villano; e la vanità, la stizza, la gelosia aumentavano in lui la passione”.
Parimenti dell’Innominato non è descritto il passato delittuoso come nel “Fermo e Lucia”, in cui si raffigura l’uccisione del creditore sul sagrato della chiesa.
S’inquadra in questo sforzo volto a temperare le passioni smodate o comunque avvertite come troppo accese la “Digressione” del “Fermo” e “Lucia”, in cui Manzoni dichiara di non aver voluto soffermarsi sul reciproco amore dei due protagonisti perché “dell’amore ve n’ha, facendo un calcolo moderato, seicento volte più di quello che sia necessario alla conservazione della nostra riverita specie”. Quindi chiosa: “Io stimo dunque opera imprudente l’andarlo fomentando con gli scritti”.
Nei “Promessi sposi” le grandezze terrene – sottolinea Ettore Paratore – sono costrette a palesare la loro inconsistenza mentre su di esse incombe, vigile, il potere trascendente, l’unico cui spetti far ordine nel farraginoso e arruffato formicaio della vita terrena. Quindi gli sfoghi violenti delle umane passioni e l’urto fra volontà contrapposte dovevano essere sottoposti ad un processo di radicale riduzione affinché nessuno dei pur numerosi passionali soggetti potesse reclamare il diritto di ergersi a dominare – seppure fugacemente – una scena in cui doveva invece regnare la forza tranquilla, scandita dalla Provvidenza, sullo scomposto brulichio degli umani conati.
Tuttavia lo scrittore non ha rinunciato ad addensare le nubi laddove era necessario, come testimoniano la sollevazione, a Milano, della plebe affamata e la cupa epopea della peste. Questi due avvenimenti svolgono un ruolo importante nell’economia del romanzo perché, in quanto espressione della presenza del dolore e del male, sono essi destinati a far meglio emergere, per contrasto, l’azione riequilibratrice della Provvidenza. Si profila e poi s’impone nella trama il prezioso contributo di fra Cristoforo, del cardinale Borromeo, di Lucia che, nel suo sprovveduto candore, è tuttavia termine fisso di salvaguardia dei valori umani e morali. Nel novero dei combattenti per la buona causa entrano anche l’Innominato, dopo la conversione, e Renzo, dopo che la sventura sua ed altrui hanno fatto maturare la sua coscienza.
La decrescente fortuna di Manzoni nei Paesi stranieri si spiega con la loro ostilità ad accettare un’impostazione ideologica che perseguiva l’obiettivo di tenere a freno, in conformità ad un preciso codice etico, qualsivoglia intemperanza o tracimazione di pensieri e sentimenti. Oltralpe un’arte narrativa che riservava solo ai vocati da Dio un’indulgente considerazione del loro operato (mentre quello degli altri veniva guardato con sommessa ma spietata derisione) doveva essere giudicata antiquata e pesantemente condizionata da pregiudizi di carattere confessionale. Fu dunque l’eredità di Manzoni a disporre la repubblica delle lettere ad un così ombroso rigorismo da far sembrare ancor più spregiudicate le già sbrigliate licenze morali ingaggiate da D’Annunzio.