La misteriosa formula della vernice sottomarina rappresentava il segreto custodito dalla famiglia di Italo Svevo. La miscelazione (spiega lo scrittore Daniele Del Giudice nell’introduzione al romanzo “Senilità”) avveniva a porte chiuse e sempre in presenza di un membro della famiglia. Tra gli ingredienti più o meno noti, figuravano essenza di trementina, verderame, cresolo, arsenico. Poi ce n’era un altro, definito “segretissimo”, che in casa chiamavano “ichtileia”: indicava la soda solvay. Un altro ingrediente, a suo modo misterioso perché scompariva durante la lavorazione, era l’acqua. Serviva per dei Sali che si producevano nella cottura: bollendo evaporava. “Nessun concorrente, nessun ladro di formule, analizzando la vernice, ne avrebbe trovato traccia” osserva Del Giudice. Il mistero non finisce qui. Avvolte in una voluta e mirata approssimazione erano anche le proporzioni degli ingredienti da mescolare, come pure le temperature di cottura: nei laboratori venivano impiegate bilance e termometri truccati affinché nessuno operario potesse conoscerne le quantità esatte. Era la suocera di Svevo, Olga Veneziani – informa sempre Del Giudice – a presiedere alla cottura che durava più o meno un giorno. Svevo stesso col tempo fini per prendere a parte a questa intrigante operazione. Anche lui, dunque, giunse a conoscere la formula segreta, sebbene talvolta nel dimenticasse un passaggio. Dallo stabilimento di Murano così scrisse alla moglie: “Non ho tempo di rivolgermi a Marco, cui vorrei domandare se ricorda esattamente la dose di colorante che ha messo nella fascia grigia. Nel libro di ricette non è molto chiaro. Ti prego di domandarglielo”. La vernice di casa Svevo si affermò come il miglior antivegetativo e anticorrosivo per le navi, e fu quindi adottata dalle marinerie da guerra di diversi Paesi. L’illuminante idea era venuta al suocero di Svevo che, a sua volta, aveva sviluppato la brillante intuizione di suo suocero, fabbricante di grasso per le ruote dei carri. Una soluzione a base di sapone, applicata a caldo sulle chiglie delle navi e poi indurita, avrebbe impedito che attecchissero, scrive Del Giudice, “barbe di alghe sui fianchi e denti di cane sulla carena”, rallentando lo scorrimento. Da questi decisivi accorgimenti derivava la grande utilità di quella vernice, capace di impedire ai parassiti di frenare la corsa delle navi.