La commedia umana che Boccaccio decide di realizzare sembra volersi proporre come contraltare della “Commedia” divina di Dante, e se l’Alighieri aveva inteso condurre il lettore lungo un percorso teologico sul destino ultimo che ci attende dopo la morte, lo scrittore di Certaldo concentra invece il suo sguardo sulla vita quotidiana e sulle vicende terrene degli uomini. Se Dante assoggetta uomini e donne a condanna o consegna loro premi “sostituendosi al giudizio di Dio”, Boccaccio descrive grandezze e povertà della gente comune mettendo al centro della sua opera la fortuna, l’ingegno e l’amore, ovvero elementi che caratterizzano e segnano la vita di ogni persona.
In “Boccaccio teologo. Per una rilettura del Decameron” (Firenze, Mauro Pagliai Editore, 2021, pagine 126, euro 13) Antonio Fatigati, diacono permanente della diocesi di Milano, richiama il valore di un’opera che si concentra su un “sorprendente” disegno pastorale: parlare della misericordia di Dio verso gli uomini e indicare la strada da compiere per realizzare il bene. Un versante teologico questo, che – evidenzia l’autore -solo negli ultimi tempi ha ricevuto un’adeguata attenzione.
L’interessante saggio è arricchito dalla prefazione di Alessandro Ghisalberti in cui afferma che se “posizioniamo l’angolo di visuale sui contenuti dottrinali che Fatigati ha fatto emergere a livello di ermeneutica della teoresi teologica e filosofica soggiacente alle cento novelle, troviamo la predominanza delle scuole che si è soliti qualificare dagli ordini religiosi di appartenenza dei loro maestri più affermati”. Vale a dire, la scuola domenicana, in quei decenni assestatasi sul pensiero di Tommaso d’Aquino; la scuola francescana, con le figure egemoni di Giovanni Duns Scoto e Guglielmo di Ockham; la scuola agostiniana con Gregorio da Rimini e Dionigi di Borgo San Sepolcro. E’ un epoca di intensa maturazione operata dalle cattedre dei religiosi istituite presso le più importanti università europee, e i maestri di tali scuole sono in contatto tra loro attraverso un confronto basato sulla conoscenza diretta e reciproca degli scritti, con toni di accesa dialettica all’interno della teologia affermatasi nella seconda metà del xiii secolo, che ha visto l’innesto del pensiero e del metodo scientifico di Aristotele nell’evoluzione della teologia. In questa temperie s’inserisce il capolavoro di Boccaccio il quale, lungo il crinale che segna il confine tra l’amore profano e l’amore sacro, si focalizza sullo sguardo di Dio. E’ uno sguardo che si proietta sulle intricate e turbolente gesta compiute sulla Terra che spicca per una potente carica misericordiosa, nel segno di una comprensione profonda, e non meramente paternalistica, delle debolezze umane.
Fatigati, alla luce di un attento e rigoroso esame degli elementi teologici presenti – con evidenza o in filigrana – nelle diverse novelle, sottolinea che è possibile fare teologia raccontando di uomini cinici e malvagi, di amori lascivi, di frati creduloni e di grandi peccatori. “E sembra proprio – rileva – che essa possa farsi strada attraverso il riso suscitato da alcune novelle o attraverso il pianto che altre generano”. Il pensiero teologico emerge con forza malgrado decenni di immaginario collettivo che h preteso di riconoscere in Boccaccio un autore libertino, anticristiano, divertito e divertente narratore” di vite alle quali Dio appare estraneo, offuscandone invece i contenuti profondamente cristiani, la competenza teologica, l’intenzione pastorale.
Il “Decameron” è un’opera “con significativo contenuto teologico”. Boccaccio ha saputo realizzare, scrive Fatigati, “uno straordinario momento di incontro tra due scuole teologiche particolarmente vive nel suo tempo, quella francescana e quella tomistica”. Attraverso il “Decameron”, l’autore ha voluto compiere un’operazione di tipo pastorale, accompagnata ad un principio di filosofia morale. Ai lettori delle novelle egli intende ricordare “la capacità di Dio di guardare oltre l’inganno e il peccato degli uomini”.
Ragione e logica, strumenti fondamentali nella teologia del tempo, diventano nelle mani di Boccaccio la base sulla quale costruire un filone complessivo di pensiero che si snoda attraverso le novelle fin da quando le sette donne si incontrano a Santa Croce per decidere di uscire dalla città dando vita ad “un nuovo rinascimento morale”, dimostrano così di essere in grado di condurre una riflessione che proprio nella logica ha il suo punto di forza e la sua conclusione. Se nella e nella seconda novella Boccaccio fa teologia parlando di Dio, “regalandoci una visione privilegiata del suo sguardo di credente convinto della assoluta misericordia divina e della presenza dello Spirito nella Chiesa di Cristo, che viene riconosciuta quale baluardo al peccato”, nella terza novella lo scrittore difende l’operato del Papa, “paladino della vita degli ebrei perseguitati” che si rifugiano nei suoi territori avignonesi. Le successive storie – rileva Fatigati – mostrano uomini e donne colti nelle loro fragilità, raffigurando così una commedia umana che si svolge sotto lo sguardo divertito ma compassionevole di Boccaccio. Una commedia umana che trova la sua inevitabile conclusione nella lezione morale contenuta nella decima giornata, quella che, attraverso la lettura tomista di Aristotele, “riporta la teologia al centro di questo straordinario capolavoro che è il ‘Decameron’”.