C’era una lacuna da colmare. Dal 1911 al 1932 sono stati pubblicati i primi quattro volumi del carteggio tra Niccolò Tommaseo e Gino Capponi. Nella nota “A chi legge” del curatore del quarto volume è dichiarata l’intenzione di procedere alla stampa anche di un altro libro per completare l’opera. Ma il quinto ed ultimo volume non è stato mai pubblicato.
Ora con la meritoria edizione “Gino Capponi – Niccolò Tommaseo. Carteggio (1859-1874)” (Milano, Mondadori, 2022, pagine 274, euro 25) si è finalmente consumato l’ultimo atto di un appassionato colloquio epistolare tra due protagonisti della civiltà letteraria italiana. Il volume è a cura di Simone Magherini, docente di letteratura italiana presso il dipartimento di Lettere e Filosofia e direttore del Centro di studi “Alzo Palazzeschi” dell’Università di Firenze. Il presente testo è impreziosito dell’integrale stampa della parte rimasta inedita e legata all’ultimo soggiorno fiorentino di Tommaseo, dall’arrivo a Firenze con la famiglia (ottobre 1859) alla morte (primo maggio 1874).
“L’intenso scambio epistolare – scrive Magherini – offre anche in controluce una radiografia del dibattito culturale da cui nasce la Nuova Italia: dalle comuni riflessioni, spesso amare, sulla questione politica nazionale (annessione della Toscana, Firenze capitale, la questione romana), alle discussioni linguistiche (sempre attente alla densità semantica delle parole) per la compilazione del Dizionario della lingua italiana e del Nuovo dizionario de’sinonimi, fino ai preziosi suggerimenti di Capponi a Tommaseo per l’allestimento dell’edizione definitiva delle Poesie (1872)”.
L’elevato numero di missive e la loro collocazione in un ampio arco cronologico rivestono dunque un importante valore storico-letterario. Centotrentadue lettere (cinquantacinque di Capponi a Tommaseo e settantasette di Tommaseo a Capponi), a cui si devono aggiungersi ventisette senza data (ventidue di Capponi a Tommaseo e cinque di Tommaseo a Capponi).
Un tratto saliente che caratterizza il fitto scambio epistolare è il garbo e la signorilità con cui vengono sviluppate le diverse argomentazioni, segno inequivocabile del rispetto e della stima che lega i due interlocutori. Nella missiva del 14 febbraio 1860 inviata da Tommaseo a Capponi si legge: “Lasciatemi dire che le dieci nuove pagine che ho di voi lette fin qui paiono a me non solo delle più virili e vegete che abbiate voi scritte, ma delle più veramente storiche ch’io abbia lette”. E non c’è lettera che Capponi spedisca a Tommaseo che non inizi con la formula “Caro Niccolò” e che non si concluda con il rituale “Vi voglio bene”.
Significativa è la missiva di Capponi (27 agosto 1864), in cui si ragioni di Dio e di filosofia. “Le idee – afferma il politico e lo storico – sono in noi molteplici e varie e ciascuna di esse in noi è imperfetta, ma in Dio si vanno tutte a ricongiungere in un’idea sola, della quale egli è il solo capace”. E poi rileva: “Fantasticavo intorno a quelle che noi chiamiamo nostre creazioni; di quelle parevami che noi sentissimo il germe in noi virtualmente quando la potenza in noi se ne svolge; questa o c’è o non c’è. Se non c’è vuol ire che noi non siamo sul vero, o vuol dire che non ci siamo interamente, cioè che non ci siamo posti nel punto dell’angolo donde girando la sesta si descrive l’arco”. In Capponi dunque vibra l’urgenza di approdare ad una dimensione autentica del sentire e del pensare che tuttavia trova lungo la via ostacoli e impedimenti, retaggio di una società rea di volgere troppo spesso le spalle alla ricerca e alla conquista del vero. Un’istanza etica, questa, condivisa pienamente da Tommaseo e che si specchia nel suo indefesso impegno a promuovere lo studio della lingua italiana in tutte le sue dinamiche e valenze. Non si tratta di un’attività aridamente accademica, perché Tommaseo concepisce l’opera di divulgazione della lingua quale atto fondamentale e ineludibile lungo il complesso processo di maturazione civile e sociale dell’intera nazione.
E quando Tommaseo disquisisce sull’opportunità o meno di usare una forma personale o impersonale, la questione trascende la dimensione sintattica per configurarsi quale modello cui ispirarsi per ottimizzare il rapporto del singolo con la collettività. “Il si italiano – scrive il linguista in una lettera del 26 settembre 1869 – che, grammaticalmente corrisponde in qualche maniera al medio e al deponente de’ Greci e de’ Latini, idealmente è una ellissi accennante un’azione dell’ente in sé e sopra di sé”. Palese è dunque la tensione a sottrarre la lingua al versante libresco ed erudito.
Magherini sottolinea che tale carteggio è testimonianza di un intenso sodalizio intellettuale e serve a ricordare che Capponi e Tommaseo sono due indiscussi maestri dello stile epistolare in Italia. Se per Montaigne gli italiani sono “grandi scrittori di lettere”, il presente scambio epistolare, pur nello stile talora dimesso dei “colloqui familiari” della tarda stagione della vecchiaia, conferma l’impressione dello scrittore francese, sapiente conoscitore delle “cose” italiane. Nelle lettere tra Capponi e Tommaseo lo stile epistolare non si esaurisce mai in una cura esclusivamente formale, ma si concretizza sempre in un atteggiamento conoscitivo. Ed è per questo motivo che tutte le lettere del carteggio acquistano un valore storico e morale, aprendo “il campo allo studio del cuore umano e allo studio dei tempi”.