Finora non era stato mai tentato, in modo sistematico, lo studio del tema fondativo dell’universo ideologico e letterario di Giuseppe Ungaretti, costituito dall’immagine-metafora del naufragio. Questo lodevole approccio si deve a Giuseppe Savoca che nel libro “Naufragio senza fine. Genesi e forme della poesia di Ungaretti” traccia particolari percorsi di ricerca che vanno a scavare sia nella riserva dei versi che nei tesori della prosa dell’accademico nato ad Alessandria d’Egitto. Nello stesso tempo Savoca indaga i rapporti intertestuali e linguistici tra Ungaretti e i suoi maestri, da Dante a Leopardi, da Pascal a Nietzsche, da Mallarmé a Baudelaire. “La vita per lui – osserva l’autore nella premessa – è chiusa tra le due catastrofi che stanno agli estremi: il naufragio della nascita nel tempo della morte e il naufragio ultimo della morte, contro la quale lottano la vita e la poesia. L’annientamento di ogni essere è per Ungaretti straziante, ma anche liberatorio dalla morte stessa, che diventa rinascita alla vita in quanto apre all’aurora di un giovane giorno in un paese finalmente innocente”.
La figura finale del naufragio, riscattato dalla “corruzione storica del tempo e dello spazio”, non sottrae tuttavia l’uomo ungarettiano al dovere della solidarietà e della pietà verso tutti. In questo scenario il messaggio di salvezza si trasforma in “un seme d’amore nell’umana notte”. Si potrebbero chiamare coincidenze della storia, ma sarebbe forse meglio e più corretto parlare di illuminanti intuizioni.
Il libro di Savoca fa apprezzare la modernità di Ungaretti che si lega al tema dell’emigrante. Nel poeta si specchia l’immagine di colui che è alla disperata ricerca di un approdo e di un porto sicuro. In una lettera a Prezzolini scrive: “Sono uno smarrito. A che gente appartengo, di dove sono? Sono senza posto nel mondo, senza prossimo”. E’ breve il passaggio da emigrante a viaggiatore, e non cambia la cifra di disorientamento e di sofferenza. In questa transizione Ungaretti intuisce che bisogna “discendere nella tomba per vivere”, sottolinea acutamente Savoca. Non sembra dunque azzardato ipotizzare che questa discesa verso il basso sia “il dato primario e fondante” di un viaggio che attraversa tutte le zone della sua vita, come pure della sua poesia e della sua prosa.
Eterno viaggiatore, Ungaretti ha una sua vera “patria”? in una lettera a Papini dichiara: “Sono un italiano di nostalgia”. Una nostalgia che è il dolore del ritorno, il quale, paradossalmente, si identifica nell’essere pronti a partire sempre e, se necessario, subito. Il poeta non è un viaggiatore che arriva e si ferma in un posto, ma è un girovago che immediatamente riparte da luogo appena raggiunto per andare altrove. Di patrie Ungaretti ne ha fin troppe, osserva Savoca. Del resto il poeta stesso, in una conferenza del 1968, dichiarò: “Ho avuto in sorte di dover appartenere a più patrie, e non è sorte che sia con agevolezza sopportabile. Sono sempre in esilio da terre molto amate”.