Quando il “Paradiso perduto” varcò la Manica, non ebbe la stessa accoglienza trionfale che aveva riscosso in patria. Del resto a fremere per leggere il poema di Milton c’era Voltaire, pronto a iniettare veleno nelle sue valutazioni qualora il filosofo lo avesse ritenuto necessario. E, dopo un’avida lettura, Voltaire diede fuoco alle polveri, non prima, tuttavia, di aver elogiato “le piacevoli bellezze” contenute nell’opera. Nel “Saggio sulla poesia epica”, scritto in inglese e pubblicato in Inghilterra nel 1726, lo scrittore francese affermò anzitutto che il “Paradiso perduto” non è, come comunemente si asserisce, un poema epico, ma una tragedia in versi. Per Voltaire non c’è un eroe, e qualora in esso si voglia riconoscere Adamo, che simboleggia la caduta dell’uomo, allora “questo eroe non fa proprio una bella figura”, ironizza il filosofo, che si fa beffe anche di Eva. Più che un’incarnazione dell’eterno femminino, ella pare rappresentare una brava fanciulla che, per non essere di impaccio, si ritira quando Adamo discute con il Padre Eterno. Sembra quasi, osserva Voltaire, che Eva si allontani per “riassettare il salotto”. Il caustico critico lamenta poi la mancanza di unità nel poema. A tale riguardo si domanda come si possano profonde citazioni classiche e allusioni pagane in un ‘opera così marcatamente cristiana. Il giudizio di Voltaire si fa ancora più severo quando dichiara che il “Paradiso perduto” è “talmente ideale da non sembrare scritto per l’uomo”, aggiungendo che quella di Milton è un’opera che “sembra cantare per i folli, per gli angeli e per i diavoli”. Come se non bastasse, nel suo “Candido”, allude allo scrittore e poeta inglese come al “barbaro che fa un lungo commentario al primo libro della Genesi in dieci libri di ostici versi”. A coronamento della generale stroncatura, nella “Pulzella di Orléans” Voltaire si spinge a definire le pagine dell’opera di Milton “disgustose, orribili, assurde”. Tuttavia il verdetto voltariano non inficiò la fortuna critica del “Paradiso perduto”: sei traduzioni, dal 1729 al 1738, attestano il successo che l’opera riuscì a riscuotere in Francia. E alla vigilia della Rivoluzione francese, lo scrittore e diplomatico Mirabeau, nel tessere gli elogi di Milton sul piano letterario, giunse a considerarlo anche come il primo assertore dei diritti dell’uomo e di una dottrina veramente rivoluzionaria e repubblicana.