Un dolore profondo, tagliente, pervade la tela. In primo piano spicca la figura della Maddalena, seduta su una semplice sedia, che piange con la testa tra le mani. Intorno a lei stanno gli afflitti apostoli, goffi e immobili, avvolti da pesanti mantelli che sembrano gravare su una postura già significativamente dimessa. E’ con icastica evidenza che Caravaggio rappresenta l’elaborazione del lutto nel dipinto “Morte della Vergine” (1604). A sottolineare la cupezza della situazione, l’artista impiegò un’intonazione cromatica molto scura, in parte riscattata dal rosso acceso della veste della Vergine distesa su una specie di barella: tale elemento vale a indicare l’intenzione di realizzare una scenografia povera e umile. Questo stesso elemento suscitò all’epoca roventi critiche nei riguardi di Caravaggio, accusato di irriverenza verso il soggetto principale del quadro. Ad acuire le riserve dei benpensanti concorse il sospetto che per la raffigurazione della Vergine, Caravaggio avesse fatto posare una prostituta, ritratta, fra l’altro, con le gambe scoperte. La Vergine viene presentata come giovane, per significare, allegoricamente, la Chiesa immortale, mentre il ventre gonfio sta a simboleggiare la grazia divina di cui è “gravida”. Nei vangeli canonici non si parla di morte della Vergine: ella si sarebbe addormentata in un sonno profondo, la “dormitio”. Deviando dalla tradizione Caravaggio rappresenta un’umana morte quotidiana: non c’è nessun segno mistico a caratterizzare la tela o la figura della Vergine, se non un accenno di aureola sopra la sua testa. Domina la composizione una luce angosciosa. Al riguardo, scrive il critico d’arte Roberto Longhi: “L’angoscia degli astanti prende senso e autorità dal chiarore devastante che, irrompendo da sinistra, sosta per un attimo sul viso della Madonna e sulle mani disfatte degli apostoli, fende il viso dolente di Giovanni, fa della Maddalena un massello luminoso e della sua mano sul ginocchio un grumo di luce rappresa”.