Il soggetto della tela di Ingres, intitolata “Virgilio legge l’Eneide” (1812), trova la sua fonte nei commentari dell’opera vergati da Elio Donato, insigne grammatico del quarto secolo. Virgilio, recitando il poema alla presenza di Augusto, di sua moglie Livia e della sorella Ottavia, giunge al passo in cui i narra della discesa di Enea agli Inferi, quando Anchise predice la morte di Marcello, figlio di Ottavia. Alle parole “Tu Marcellus eris” Ottavia sviene sulle ginocchia del fratello Augusto, mentre Livia rimane impassibile. La responsabilità della morte di Marcello, avvolta nel mistero, era infatti da imputare, con molta probabilità, a Livia stessa, interessata a garantire la successione al figlio di primo letto, Tiberio. Dal dipinto emerge l’intenzione dell’artista francese di comunicare, con pronunciata evidenza, gli effetti provocati sui personaggi dalla lettura dell’”Eneide”. Di conseguenza i soggetti, immersi in un’ambientazione notturna, trasmettono sentimenti tra loro diversi: essi vanno dall’indifferenza alla disperazione. L’opera, pervasa da un senso di profondo silenzio, è dominata da una solenne staticità. Tale linguaggio pittorico fa sì che i personaggi, sebbene sia conferita loro una dimensione di concretezza, risultano privi di dinamicità e vitalità. Può sorprendere, considerando il titolo e il tema del dipinto, l’assenza di Virgilio. E’ possibile, come suggerito dai critici d’arte, che tale assenza sia dovuta ad una successiva riduzione della tela rispetto all’impostazione originaria. Il quadro, infatti, rimase nello studio di Ingres fino alla sua morte, e dovette subire varie modifiche prima di essere venduto, nel 1867, ai Musées Royaux di Bruxelles.