Mentre il professore di matematica faceva lezione, Oscar Kokoschka si cimentava., di nascosto, nel disegno, interrompendolo solo per dedicarsi, sempre di nascosto – a dispetto di numeri e formule – alla lettura dei classici della letteratura. Una forma di indisciplina che gli costò, quando venne scoperto in flagrante, severe punizioni, ma che, al contempo, gli valse come viatico per incamminarsi lungo il sentiero della celebrità. Che il disegno o, in generale, l’arte fosse il suo terreno d’elezione Kokoschka l’aveva compreso sin da giovanissimo, e per questo motivo intendeva valorizzare ogni momento per sondare l’efficacia del suo talento.
L’artista austriaco è stato testimone del travagliato passaggio dall’Ottocento alla modernità. Tale transizione è stata da lui vissuta nel segno di un’opera grafica che abbraccia la Secessione e l’Espressionismo. Nonostante si fosse cimentato anche con l’incisione su legno e con la litografia tradizionale, la tecnica preferita rimase la litografia a gesso, il cui esito estetico risultava sempre seducente e graffiante.
Contro la volontà del padre, Kokoschka fu ammesso all’università di arti applicate dove fu attratto in particolare dalle opere barocche di Franz Anton Maulbertsch e dallo stile, ispirato a cromie scure e forti, di Gustav Klimt, uno dei protagonisti della Secessione viennese. Fu proprio grazie a Klimt che Kokoschka venne presentato al pubblico viennese, esigente sì, ma ben disposto a premiare i talenti meritevoli.
I suoi primi lavori sono caratterizzati da un ruvido cromatismo, cui si lega un’attenta analisi psicologica del personaggio ritratto. Su questo aspetto è evidente l’influenza esercitata allora dalle nuove teorie psicoanalitiche di Sigmund Freud. Dopo un laborioso quanto efficace tirocinio, la maturità espressiva l’artista la raggiunse con “La sposa del vento”. Il dipinto era un omaggio ad Alma Mahler, pittrice e compositrice austriaca, vedova del compositore Gustav Mahler. Con lo stile espressionista Kokoschka condivideva l’intenzione di esprimere sensazioni e stati d’animo, nonché l’attitudine a deformare i soggetti. Eppure l’artista non abbracciò mai pienamente i dettami di questo stile, tanto che visse isolato dagli altri esponenti del gruppo.
Nonostante fosse sempre aperto a nuove conoscenze e pronto ad assorbire sollecitazioni, spunti e tendenze, l’artista fece sempre parte per sé stesso. Pu apprezzandone il valore, egli non accettò mai completamente l’astrattismo: avrebbe preferito un distacco meno reciso dai riferimenti visivi e pragmatici del reale. In sostanza, l’artista era refrattario a farsi vincolare e condizionare dai dogmi, supinamente accettati, delle avanguardie. Cercò sempre di conservare una sana indipendenza di giudizio, domando qualsivoglia imposizione dettata dalla corrente artistica del momento.
Tra le sue opere più significative figurano “Natura morta con agnello morto” e “Ritratto di Adolf Loos”. Riguardo a quest’ultima va sottolineata una caratteristica intrigante: a dominare la tela sono le mani, poste in rilievo con pronunciata enfasi. Non è un tratto posto a caso, perché l’artista era fermamente convinto che sono anzitutto le mani a rivelare la personalità del soggetto. Mani ossute, intrecciate, rattrappite: al di là della forma peculiare che viene loro data, c’è sempre un elemento che le accomuna. Sono mani che pensano, che danno sempre l’impressione che lo stiano facendo.
