Ingegno poliedrico segnato da una vena di pazzia. Si specchia in questo profilo la figura dell’inglese John Ruskin, scrittore, pittore, poeta e critico d’arte. Una delle personalità di maggior spicco, denunciò – attraverso l’estetica e il culto del bello – i mali della società industriale. Quando trattava di architettura, faceva riferimento a romanzieri che costruivano le loro opere come cattedrali; quando si soffermava su un dipinto o su una scultura, richiamava il fraseggiare dei poeti per creare “affinità elettive” tra la levigatezza di un marmo e la soave sonorità di un verso.
Per lui che era un esteta e un amante del bello, riteneva che il brutto si identificasse nel capitalismo, con la sua logica materialistica e consumistica. Nel tessere l’elogio di Ruskin, la scrittrice George Eliot scriveva: “Io lo venero come uno dei grandi maestri di oggi. Certe sue utopie sul piano pratico non portano danno, ma le grandi teorie della verità e della sincerità dell’arte, e la nobiltà e la solennità della nostra vita umana che egli insegna con l’ispirazione di un profeta ebreo, quelle sì che costituiscono una promettente sferzata per le menti dei giovani”.
Indubbiamente il suo lascito più significativo investe il mondo dell’arte, da lui studiato e giudicato attraverso saggi illuminanti. La sua teoria generale, secondo la quale l’uomo e la sua arte devono essere radicati nella natura e nell’etica, fa di lui uno dei fondatori dell’Arts and Crafts Movement: lungo questa linea si configurò come uno dei precursori dell’Art Nouveau. Fu grazie a Ruskin che il pittore William Turner e il movimento preraffaellita poterono godere di fama internazionale. Nel suo “Pittori moderni”, sia il grande paesaggista britannico, sia i preraffaelliti vengono “pubblicizzati” sulla base di osservazioni e valutazioni che tradiscono un acume e una competenza eccellenti.
Rilevante fu il suo contributo anche nel campo dell’architettura. E’ in tale ambito che cominciò a insinuarsi la diceria che Ruskin fosse “un po’ pazzo”. Si sospettavano in lui frammenti di follia perché sosteneva con fiera caparbietà che “il restauro è la peggiore delle distruzioni”. Non c’è restauro – professava – che possa riportare un monumento alla sua pristina natura. E non c’è restauratore che, intervenendo sull’opera, non finisca per lederne l’identità e la storia.
Grande amore nutriva Ruskin per l’Italia, e agli stessi italiani insegnò ad apprezzare le sue bellezze. Con “Le pietre di Venezia” e “Mattinate fiorentine” seppe creare un vocabolario dell’arte le cui voci corrispondono ai tanti capolavori conservati sul suolo italico. Il critico d’arte studia con minuzia l’architettura di Venezia, rivalutandone il versante gotico. Il suo studio assume anche la veste dell’appassionata ode alla città lagunare, della quale celebra, al contempo, l’originale bellezza e la fragilità.
Professore di storia dell’arte ad Oxford, Ruskin, in “Mattinate fiorentine”, redige una guida turistica per i connazionali che vogliano recarsi nel Bel Paese per contemplarne i tesori d’arte. Sono tanti i consigli che impartisce: anche quello di dare una lauta mancia al custode di un museo affinché permetta di visitare, senza vincoli e restrizioni, anche i recessi più remoti di un museo. Alla fine della visita – assicura Ruskin – si avrà la certezza che quel denaro è stato ben speso.