Quando il “Giuramento degli Orazi” fu esposto a Roma, dove Jacques-Louis David l’aveva dipinto, il corrispondente romano del “Teutscher Merkur” così descrisse nel suo articolo del 16 agosto 1785 il successo che il quadro ottenne: “Nella storia dell’arte non si conosce alcun quadro che abbia suscitato uno scalpore paragonabile a quello suscitato dall’apparire di quest’opera. Non solo gli artisti, gli appassionati d’arte e i conoscitori, ma il popolo stesso accorre a frotte, dall’alba al tramonto, per vederlo. Nessun avvenimento politico di Roma antica e nessuna elezione papale di Roma moderna ha mai mosso gli animi con tale impeto”. Eccesso di enfasi a parte, tale valutazione è indicativa non solo del valore del quadro, ma anche del gusto per il neoclassicismo radicatosi a Roma grazie alla presenza di Winckelmann, Mengs e Canova.
Riveste un significato diverso il consenso che la tela riscosse a Parigi. Qui, dove lo spirito borghese esaltava sé stesso nell’idea di un eroismo patriottico di cui era incapace l’inerte aristocrazia monarchica, l’opera davidiana trovava il suo ambiente politico e culturale vero. Una cronaca apparsa in quei giorni, in occasione dell’esposizione del quadro, riassume in modo esemplare i sentimenti del pubblico borghese che si recò a vedere il “Giuramento”: “Davanti a quest’opera – vi si legge – si prova una sensazione che eleva l’anima e che, per usare le parole di Rousseau, ha qualcosa di straziante che vi attrae. Tutte le proporzioni sono rese con tale efficacia che sembra veramente di essere trasportati ai tempi antichi della Repubblica romana”.
I debiti di David verso Nicolas Poussin, oltreché verso i modelli classici, le suggestioni mutuate da Annibale Carracci, ma anche da artisti come Greuze e Fussli, possono essere certamente rilevati, ma è una sua caratteristica esclusiva – sottolinea il critico d’arte Mario De Micheli – la forza severa della rappresentazione, il dominio della composizione, la sua razionale geometria. Il “Giuramento degli Orazi”, in modo subitaneo, bandiva la concezione frivola dell’arte di corte e la pletora di fregi e ornamenti del neoclassicismo accademico.