E’ percorso da una spiccata vena bohèmien il quadro di Matisse intitolato “Studio sotto i tetti” (1903). La tela raffigura lo studio parigino dell’artista, agli inizi del Novecento. Il cavalletto, un piccolo tavolo, una cassa come mobile e una finestra luminosa sono gli elementi che costruiscono il contesto, inserito in una prospettiva che tende ad allungare lo spazio, come a suggerire il desiderio dell’artista di “evadere” da una stanza sentita come angusta. La pittura presenta toni scuri, interrotti dal sole che entra a rischiarare il tavolo. La luce solare finisce per dare dignità artistica anche ad uno straccio abbandonato per terra: lo illumina e gli dà rilievo. In questo quadro Matisse cerca di superare quelli che considera i limiti dell’Impressionismo, uno stile che per lui era arroccato su motivi “sottili e e passeggeri”. Gli impressionisti lavoravano generalmente sur le motif, Matisse, invece, lavora nell’atelier, cercando una pittura più espressiva e meno legata alla piatta dimensione del reale. Evita di dipingere all’aperto: tuttavia non può ignorare il paesaggio, la sua forza e solarità, che penetra, come di prepotenza, nella stanza. Si consuma, in questo modo, una sorta di compromesso fra la narrativa pittorica all’interno e la narrativa pittorica all’esterno. Matisse affermò di aver sempre avvertito il fascino dei quadri in cui sono raffigurate finestre aperte, perché esse permettono d stabilire un rapporto di familiarità tra gli agenti esterni e gli oggetti che si trovano all’interno di uno spazio chiuso. “Per me – dichiarò – l’atmosfera del paesaggio e quella della mia camera sono una cosa sola”.