Fu commissionato dal poeta inglese Edward James il dipinto “Riproduzione vietata” (1937) di René Magritte (insieme a Paul Delvaux, considerato il maggior esponente del surrealismo in Belgio). Vi è ritratto un uomo (forse lo stesso James) vestito con raffinata eleganza, che si guarda allo specchio. Come sarebbe logico e naturale, ci si aspetterebbe di vedere il volto del soggetto e il suo torace: invece, ciò che lo specchio riflette è la sua nuca e la sua schiena. Insomma, lo specchio non svolge la sua funzione tradizionale ed offre allo spettatore la duplice copia dell’originale, abdicando così al suo ruolo unico e irrevocabile. In questa prospettiva s’impone la presenza di un doppio soggetto che, in verità, è uno solo. Questa duplicità non ne rafforza però l’identità: al contrario, la mina e la sgretola, perché nel momento in cui dalla narrativa pittorica si escludono anzitutto gli occhi si sancisce la soppressione dell’io, nonché la manifestazione dei moti del suo animo. Quest’uomo è ritratto due volte, eppure di lui non sappiamo nulla di più di quel che si pensava di conoscere a un primo sguardo: il suo doppio, così formulato, rende la figura ancora più ermetica. Paradossalmente lo specchio recupera, almeno in parte, la sua funzione originaria. Sulla mensola di marmo è poggiato un libro, di cui si vedono solo la costa e la copertina: è la copia, logora, del romanzo di Edgar Allan Poe “Le avventure di Arthur Gordon Pym” (nel quadro il titolo è riportato tradotto in francese “Les aventures d’Arthur Gordon Pym”, la traduzione è a cura di Charles Baudelaire). Il libro, a differenza dell’uomo, si specchia infatti correttamente.