Una sorta di rivoluzione. Nel Settecento e nell’Ottocento gli artisti maschi dipingevano il tema della maternità con riluttanza, quasi con un certo fastidio. Mamma e prole erano per lo più collocati sullo sfondo del quadro, come a voler rispettare l’etichetta (che voleva che questi soggetti fossero presenti nella tela in quanto figure obiettive della realtà sociale), senza però quel doveroso rispetto e quel trasporto emotivo che avrebbe indotto il pittore a dare alla figura femminile un ben più spiccato rilievo.
Poi sulla scena irruppe Mary Cassatt. Grazie alla pittrice statunitense la maternità acquista un ruolo di primo piano. Il suo delicato pennello sa cogliere di essa le vibrazioni più delicate, l’intima tenerezza, il morbido candore. E’ un vero e proprio riscatto, a tutto tondo, della figura stessa della donna.
A corroborare tale riscatto concorrono le scene, mirate, da lei realizzate. Basti pensare al fatto, assai significativo per quel tempo, che Cassatt ritrae donne che leggono, quindi donne impegnate intellettualmente: prima di lei, solo rari esempi si attestavano su questa dimensione. Come pure è da rilevare che le “sue” donne tendenzialmente non guardano lo spettatore, ma sono immerse nelle proprie profonde meditazioni: anche questa impostazione vale ad evidenziare quel valore del pensiero e dell’intelligenza dell’universo femminile in precedenza colpevolmente negletto.
Ricorda il “New York Times” che a “fare giustizia” della “grandezza profetica” della Cassatt ha contribuito, tra l’altro, il libro di Griselda Pollock pubblicato nel 1998 ed intitolato “Mary Cassatt: Painter of Modern Women”, in cui la pittrice viene definita una “proto-femminista” che, attraverso il suo lavoro, sostenne la causa delle donne con indomito coraggio.
L’artista visse molto tempo in Francia dove divenne amica e allieva di Degas, i cui quadri, va detto, mostravano sempre sensibilità e attenzione alla figura femminile, celebrandone la signorile delicatezza senza sfociare in un languido manierismo. Quando, prima di conoscerlo di persona, vide alcuni pastelli di Degas conservati in una vetrina, Cassatt ebbe a dire: “Ero solita schiacciare il naso contro quella vetrina e assorbirne tutto quello che potevo della sua arte. Questo ha cambiato la mia vita. In quel momento ho visto l’arte come volevo che fosse”. Ed è sotto la sua egida che la Cassatt sviluppa il suo impegno nell’indagare, nell’angusto spazio della tela l’espansivo tema dell’intimo legame tra le madri e i loro bambini.
Ebbe la fortuna di conoscere pittori del calibro di Ingres, Delacroix, Corto e Courbet, ed il merito non solo di non farsi intimidire dalla loro fama, ma anche di guadagnare, dopo un periodo di rodaggio, la loro stima e convinta considerazione. Da giovanissima, si era iscritta alla “Pennsylvania Academy of the Fine Arts”, dove aveva subito sviluppato un’insofferenza verso l’atteggiamento di superiorità nei suoi confronti sia degli insegnati che degli studenti maschi. Una volta a Parigi, con proficua umiltà, si recherà ogni giorno al Louvre per copiare le opere esposte.
Il rapporto madre-figlia trova una perfetta esemplificazione nel dipinto “Il bagno” (1893). Con amorevole premura la donna si prende cura della sua bambina. Delicatamente le tocca il piedino destro, immerso in una bacinella piena di acqua saponata. Entrambe hanno il volto rivolto verso il basso, si indovinano le palpebre, gli occhi non si vedono: comunque è facile intuire, pur in questa prospettiva nascosta, quella luce che deriva da un rapporto di tenera e collaudata intimità. Va sottolineato che il quadro fu composto in un periodo in cui a Parigi, come in tutta la Francia, stava imperversando il colera, e le autorità sanitarie avevano raccomandato di non trascurare assolutamente l’igiene. Questa significativa contingenza conferisce un valore ancor più pregnante alla maternità come viene raffigurata, in questa tela, dalla Cassatt.
Tra i suoi quadri più si annovera “Il tè delle cinque” (1880), che raffigura due donne collocate in una valenza prettamente quotidiana. Protagoniste della tela non sono solo le due figure, ma – felice intuizione – anche i riverberi di luce del servizio da tè e le linee elaborate del caminetto. Il quadro spicca per la stilizzazione del tratto, sinonimo non di affettazione, ma di limpida eleganza.
Tale stilizzazione rappresenta un tratto caratteristico della sua pittura ed è in parte mutuata dalle forme dell’arte giapponese, da lei molto apprezzata. Mary Cassatt ebbe il pregio di non scadere mai nel sentimentalismo: rischio comprensibilmente forte considerando che il rapporto madre-figlia e il legame di amicizia tra donne avrebbe potuto costituire, in tal senso, un’insidiosa tentazione.
Nel corso della carriera era entrata a far parte – pur conservando una fondamentale autonomia – del movimento degli Impressionisti, grazie ai quali aveva affinato la rapidità di tocco e la gestione della luce, e dei suoi riflessi. Acuta fu la sua delusione quando, al tramonto dell’Impressionismo, fecero seguito il Post-impressionismo, il Fauvismo e il Cubismo: vale a dire, correnti artistiche che violavano l’impostazione equilibrata e composta, sostituendola con una pittura aggressiva, spigolosa e meno attenta alla dimensione umana. Quella dimensione, intessuta di vibratile sentire, che ha rappresentato l’intima essenza dell’arte di Mary Cassatt.