Dovunque si sentiva come a casa, ma non apparteneva a nessun posto. Correva una vena nomade e avventuriera in John Singer Sargent, nativo di Firenze, considerato uno dei più importanti ritrattisti del suo tempo (1856-1925). Operò su entrambe le sponde dell’Atlantico: sia i committenti d’Europa sia i committenti degli Stati Uniti nutrivano per lui un’elevatissima stima. Finì così per essere oberato di lavoro e pressato, con sempre maggiore frequenza, a rispettare le scadenze di consegna dei quadri.
Per sottrarsi a questo “giogo”, come egli stesso lo definì, aveva pensato ad uno stratagemma: avrebbe alzato, e di molto, il prezzo dei suoi ritratti in modo da scoraggiare almeno parte della vasta e riverente clientela. Il fatto è che a formare tale clientela, sia in Europa che negli Stati Uniti, erano persone dell’alta borghesia e dell’aristocrazia, che si potevano permettere di sborsare denaro con prodigalità per saldare anche le parcelle più esose. Di conseguenza Sargent continuò a dipingere a ritmo incalzante: il giogo, dunque, persisteva.
La sua produzione comprende più di novecento dipinti ad olio, oltre duemila acquerelli, nonché innumerevoli schizzi e disegni a carboncino. Una produzione cadenzata dai suoi numerosi viaggi, dalla Norvegia all’Inghilterra, dagli Stati Uniti alla Francia. Ad ogni sosta non mancava mai di fare ritratti. Ed era così veloce nell’eseguirli (gli bastava che il modello o la modella posassero per una sola seduta), che alla fine di ogni giornata di lavoro frenetico, svolto con disarmante disinvoltura, si potevano contare, di media, dieci ritratti. Il giorno dopo, pur al vaglio di uno scrupoloso esame, non ci sarebbero stati ritocchi.
L’apprendistato lo aveva praticato a Roma, per poi proseguirli all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Il suo mentore, il pittore Carolus-Duran, lo aveva esortato, agli albori del suo itinerario professionale, ad ispirarsi a tre pittori: Velazquez, Velazquez e Velazquez. Di questo saggio consiglio Sargent gli fu poi profondamente grato.