Una dinamica drammaticità caratterizza la “Deposizione di Cristo dalla croce” di Tintoretto (1559). La madre svenuta e abbandonata nelle braccia della pia donna costituisce la base del gruppo delle due Marie e san Giovanni, articolato intorno al corpo di Cristo, incrociato sulle gambe della Vergine. Ciascuna delle figure è legata all’altra attraverso l’incastro dei gesti e dei corpi, mentre la luce, enucleando i potenti volumi delle figure, profila con nettezza i rilievi e accende i gorghi di accorti chiaroscuri controluce nei quali le forme non si disperdono: al contrario, acquistano un’ulteriore potenza materica. L’acme del pathos è raggiunta con la raffigurazione della bocca semiaperta di Cristo e del volto, trasfigurato in una maschera, della Vergine svenuta. L’attenta costruzione del gruppo come unità, ottenuta attraverso la potente articolazione delle masse di ciascuna delle figure, appare ispirata da suggestioni michelangiolesche, probabilmente mutuate dalle opere di Daniele da Volterra, debitrici nei riguardi del maestro fiorentino. Alla sua “Deposizione“ sembra che Tintoretto si sia riferito proprio per l’inserimento del motivo della Madonna raffigurata svenuta. I contatti e le citazioni da opere cinquecentesche romane nella produzione di Tintoretto sono così frequenti da aver indotto gli studiosi a ipotizzare che l’artista si fosse recato a Roma, dove avrebbe potuto assimilare meglio la cultura figurativa manierista postmichelangiolesca di Daniele da Volterra, Jacopino del Conte e Francesco Salviati.