Non si limitò il Barocco a contrastare l’impatto e l’influenza dell’”Orlando furioso”, ma si spinse ad esortare i lettori a ignorare completamente l’Ariosto, reo di aver scompaginato l’ordinata e regolata narrativa del Tasso. Tale posizione tradisce la miopia culturale che segnò il Seicento formalista, artificioso e sterile: l’originalità dell’Ariosto, che si specchiava anzitutto in uno stile modulato e al contempo innervato di acuti espressivi, non poteva tornare gradito ad un ambiente codino, restio a spunti che deviassero da un registro riconosciuto e collaudato. Di conseguenza, sotto l’imperante Barocco, si registrò un netto decrescere delle edizioni dell’”Orlando furioso”: ne furono stampate ventiquattro fino al 1631, sette fra il 1631 e il 1679. Bisognerà attendere il 1713 per rivedere un “Orlando furioso” a stampa, a cura di Domenico Lovisa, a Venezia. In questo scenario si assiste poi alla difesa (solo d’ufficio) del capolavoro dell’Ariosto: una difesa mal argomentata che certo non favorì la causa del poeta di Reggio Emilia. Basti pensare all’anticruscante Paolo Beni che nella “Comparazione di Omero, Virgilio e Tasso” (1612), dopo aver elencato i vari capi di accusa mossi contro l’Ariosto, abbozzò una timida difesa chiedendo la sua assoluzione perché lo stesso Omero sarebbe stato “responsabile di colpe maggiori”: ma Beni non si degnò di spiegare in che cosa consistessero tali colpe. Dal canto suo, Trajano Boccalini, il più noto tra i critici del Seicento letterario, nei “Ragguagli di Parnaso” ricorre a termini generici nell’elogiare l’Ariosto, e anche se afferma di ritenerlo all’altezza del Tasso, tale posizione non manifesta un vero convincimento, piuttosto ha l’aria di una concessione elargita distrattamente, con degnazione. C’è tuttavia una bella consolazione per l’Ariosto, visto che a suo sostegno si levò una voce più che illustre, quella di Galileo Galilei, il quale non si fece scrupolo di dichiarare apertamente il suo “disprezzo” per la “Gerusalemme liberata” del Tasso e il suo “amore” per l’”Orlando furioso” di cui apprezzava, in particolare, “la proporzione delle parti con il tutto”: un apprezzamento che, venendo da Galilei (che di geometrici equilibri se ne intendeva) non può che assumere una valenza ancor più pregnante.