Il poeta Heinrich Heine sosteneva che Immanuel Kant era stato più rivoluzionario di Robespierre. Un’affermazione che, di primo acchito, può risultare spizzante per chi sa che il filosofo tedesco – uno dei classici del pensiero moderno – era un tipo temperato, nonché abitudinario fino alla noia. “Senza le mie regolari passeggiate alle otto della sera, non avrebbero mai visto la luce né la Critica della ragion pura né la Critica della ragion pratica”, soleva dire Kant, che attendeva a questo immancabile rituale con il suo inseparabile bastone.
Quali sono dunque i fattori che rendono il filosofo così innovativo, una sorta di spartiacque lungo l’articolato e frastagliato cammino della logica? In Kant convergono tratti salienti del cogitare umano. Egli fu il più significativo esponente dell’illuminismo tedesco, che si riconosceva in una dimensione moderata, senza gli acuti, le asprezze e talora gli estremismi, dell’illuminismo francese e inglese; nello stesso tempo si configurò come un anticipatore della filosofia idealistica, la cui essenza si traduce nel ricondurre l’essere al pensiero, negando lo status di autonomia alla realtà, ritenuta un’attività interna al soggetto.
Sebbene non lo avesse manifestato con sgargiante evidenza, Kant stesso era ben consapevole che la propria filosofia conteneva in sé il potenziale e la carica di una rivoluzione copernicana, volta a superare il dogmatismo metafisico da lui contestato perché giudicato un impedimento nell’ambito della ricerca critica sulla conoscenza e sulle dinamiche ad essa sottese.
Kant ebbe molti estimatori, tanti quanti furono i suoi detrattori, tra le cui fila figurano personalità a dir poco illustri, da Brentano a Russell, da Wittgenstein ad Einstein: le critiche che gli venivano mosse investivano sia il versante della logica, sia il versante della fisica. Tuttavia, la sua eccelsa statura di filosofo – nel corso del tempo e a dispetto anche delle più ruvide riserve – non è stata mai intaccata. Del resto è inattaccabile, nonché commendevole il suo sforzo, sul piano anzitutto teorico, di contribuire al progresso del pensiero e della civiltà. Un contributo che muove dalla ferrea difesa del valore della ragione, sempre da lui intesa non come negativo strumento di dominio, ma come prezioso mezzo di libertà. Solo con la ragione, affermava, è possibile realizzare una descrizione “sistematica” dell’universo: fu questo, in sostanza, l’obiettivo ispiratore della sua filosofia.
Tra i suoi allievi, all’università di Konigsberg, ebbe il filosofo e teologo Johann Herder, che così lo ricorda: “La sua fronte aperta, costruita per il pensiero, era la sede di una imperturbabile serenità e gioia. Con lo stesso spirito con il quale esaminava Leibniz, Baumgarten, Hume, e seguiva le leggi naturali scoperte da Newton e da Keplero, accoglieva anche gli scritti allora apparsi di Rousseau, il suo Emilio e la sua Eloisa, valorizzava tutti e tutto, riconducendoli ad una conoscenza della natura priva di pregiudizi”.
A Kant nulla che fosse degno di essere conosciuto era indifferente. E ciò che aveva l’onore di accedere all’ambito del processo conoscitivo doveva essere scrupolosamente vagliato, mettendo al bando opinioni precostituite e meschine parzialità. Un tale approccio – dichiarava Kant – era propedeutico al solenne e nobile impegno volto a scoprire la verità, quella insita nell’uomo e quella custodita negli oscuri e intriganti meandri dell’universo.
