Ironia della sorte: espressione ormai inflazionata ma in questo caso quanto mai opportuna e calzante. Si narra che, da buon inglese, l’ammiraglio Nelson (1758-1805) amasse il tè, e solo quello. Ma quando, dopo essere stato colpito a morte da un cecchino francese durante la storica battaglia di Trafalgar, il suo corpo venne messo in una botte di rum (in quanto a base di alcol) perché si potesse conservare fino al rientro in patria, ciò che aveva evitato in vita, lo sommerse da morto. E quando il cadavere arrivò in Inghilterra, si scoprì che nella botte non vi era più traccia di alcol: alcuni marinai, infatti, avevano praticato un buco sul fondo della botte e bevuto tutto il rum, ignari della presenza, in quella botte, del corpo di Nelson. Ancora oggi, in memoria di questo episodio, viene prodotto il Nelson’s Blood, rum dall’inconfondibile colore rosso. Triste e grottesco epilogo quello di Nelson, dunque, che in Gran Bretagna, a partire dai libri di storia, è sempre stato ammirato e celebrato. La sua fama raggiunse l’apogeo grazie al suo più grande nemico, Napoleone, che aveva deciso di invadere l’Inghilterra: un obiettivo che portò, dopo vari avvenimenti, alla decisiva battaglia di Trafalgar, al termine della quale si sarebbe stabilita la supremazia sul mare tra Gran Bretagna e Francia. E l’esito dell’epico scontro non ammise chiaroscuri: la flotta franco-spagnola perse ventidue navi, quella britannica nemmeno una. E ciò, concordano gli storici, fu possibile in virtù delle geniali intuizioni di Nelson nel pianificare l’assetto della sua flotta, peraltro molto più ridotta del nemico. Nelson era entrato in marina a dodici anni e da allora la sua vita fu sempre un solcare le acque: eppure, come egli stesso ebbe a confessare, soffriva il mal di mare.