L’attrice Karin Dor era mora, ma Alfred Hitchcock la definì “blonde inside”. Il maestro del brivido era sensibile al fascino femminile: al fascino delle donne bionde, particolarmente sensibile. Da Grace Kelly a Kim Novak, da Tippi Hedren a Ingrid Bergman, sono numerose le figure, nella versione bionda, che hanno recitato il ruolo di protagonista in film annoverati tra i capolavori immortali del cinema. Il regista britannico, naturalizzato statunitense, non ebbe mai, o quasi mai, un buon rapporto con le attrici, bionde o non bionde. L’affermazione da lui formulata in occasione del premio Milestone conferitogli dalla Screen Producers Guild non lascia dubbi al riguardo: “Per me gli attori sono bestie”. A fronte di tale cinico assioma, le bionde che recitarono per Hitchcock seppero realizzare performance eccelse, in ciò agevolate (talento a parte) dallo spartano rigore e dalla cura certosina per il dettaglio prodigati dal regista. Il rapporto dal punto di vista umano era spesso teso, ma sul piano professionale l’intesa era esemplare. Più sembrano fredde, da principio, più risultano essere passionali e coinvolgenti, usava dire Hitchcock a proposito delle bionde che si muovevano sul set. Paradigmatica, in merito, è la scena interpretata da Grace Kelly, soprannominata “ghiaccio bollente”, in “Caccia al ladro”: riservata e distaccata tutta la sera, sempre inquadrata di profilo (altero), ella prende infine l’iniziativa sulla soglia della sua stanza d’albergo e bacia dolcemente Cary Grant che l’aveva accompagnata (per poi chiudere subito la porta per non incoraggiare nel gentiluomo sconvenienti propositi). Altrettanto significativo è il fatto che, nonostante la ruggine e gli screzi, molte delle “sue” bionde si sono dichiarate, alla fine delle rispettive carriere, sinceramente debitrici nei riguardi di “Hitch”, come veniva soprannominato dagli amici e dai più stretti collaboratori. Grazie a lui, queste attrici avevano potuto affinare alcune movenze della recitazione che il regista voleva fosse “perfetta” nell’arco di tre secondi, al massimo. Quando Ingrid Bergman sorrideva, le si formavano piccole fossette sulle guance. Lei tendeva a indugiare su questo accattivante tratto, conoscendone l’alto grado di seduzione, ma il regista tagliò corto anche su questo particolare e ordinò all’attrice di non fare un sorriso aperto, ma solo di accennarlo. Lo spettatore, usava dire, vorrà che quel sorriso fosse durato più a lungo: all’inizio se ne rammaricherà, ma poi, vedendolo sfumare, ne avvertirà ancora più forte il fascino. Quando a Grace Kelly fu chiesto quale particolare lezione, fra le tante, aveva tratto lavorando con Hitchcock, così rispose: “Mi ha insegnato a girare le scene di amore come fossero scene di omicidio e a girare le scene di omicidio come fossero scene di amore”. Sul difficile rapporto tra il regista e le attrici è esemplare la testimonianza di Tippi Hedren. “Lui mi ha creato e lui mi ha distrutto” dichiarò, sottolineando il fatto che Hitchcock la lanciò sul set, la rese famosa ma poi ne impedì l’ulteriore ascesa (bloccando, tra l’altro, i contratti tra lei e altri registi) perché aveva respinto, prima garbatamente, poi con decisione, le sue avances. Quando il regista morì, Tippi Hedren – con lo stupore dei presenti che ben conoscevano i retroscena del loro tormentato rapporto di lavoro – al funerale depose una corona di fiori sulla bara mormorando: “Comunque, grazie di tutto caro Hitch!”.