Hegel contestava all’Illuminismo di radicare il dogmatismo e di promuovere “un’astratta negatività”. Più esaltava la ragione – il movimento settecentesco – più criticava l’uomo, incapace di farne buon uso. Significativa, in merito, è la definizione che Kant dette dell’Illuminismo, ovvero “l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità, che egli deve imputare a sé stesso”. Per minorità il filosofo di Konigsberg intendeva “l’inadeguatezza” dell’individuo a valersi del proprio intelletto. Di conseguenza, esortava ad uscire dal “guscio, ad “osare” e a “fare leva sull’intelligenza”: in questi cruciali passaggi si sviluppa il riscatto dell’umanità. Un riscatto che consiste nel cancellare la condizione di minorità per guadagnare lo stato di consapevolezza, lucida e matura, del proprio essere.
Tuttavia l’”ottimismo” kantiano trovava uno spinoso contraltare in due pensatori di eccellenza, Rousseau e Voltaire, entrambi fustigatori della dimensione prometeica dell’uomo moderno. Nel manifestare un corrosivo scetticismo sulle capacità conoscitive umane, Rousseau, nelle “Lettere Morali” scrive: “Dove siamo, cosa vediamo, cosa sappiamo, cosa esiste? Inseguiamo senza posa ombre fuggenti. Spettri leggeri, vani fantasmi volteggiano innanzi ai nostri occhi, e noi crediamo di scorgere l’eterna catena degli esseri. Noi – evidenzia – non conosciamo nell’universo una sola sostanza, non siamo neppure sicuri di vederne la superficie e vogliamo sondare l’abisso della natura. Lasciamo questo lavoro puerile a quei bambini che si chiamano filosofi. Dopo aver percorso il cerchio angusto del loro vano sapere, conviene finire dove Cartesio cominciò, ovvero ‘io penso, io sono’. Ecco tutto quello che sappiamo”.
Dello stesso, arcigno tenore è la valutazione di Voltaire che nel “Filosofo ignorante” dichiara: “Chi sei? Che cosa fai? Che cosa diventerai? Sono domande che vanno rivolte a tutti gli esseri viventi. Ma alle quali nessuno risponde”. Poi, nell’Appendice alla “Metafisica in Newton”, rincara la dose: “Noi siamo automi nati a volere sempre, a fare qualche volta quel che vogliamo e qualche altra il contrario. Dalle stelle fino al centro della terra, fuori di noi e in noi, ogni sostanza ci è sconosciuta. Noi non vediamo se non apparenze. Viviamo in un sogno”.
In queste asserzioni si specchiano le crepe del razionalismo illuministico, che puntava sull’uomo senza però avere in lui una vera fiducia, la quale fu poi risposta nella scienza, intesa come soluzione umana dei problemi umani. Anche su questo versante si registra un insuccesso, perché i philosophes non erano scienziati, e quando si occuparono di scienza, lo fecero da dilettanti, comunque rimanendo sempre grandi umanisti.