E’ stata una delle polemiche scientifiche più famose dell’era moderna. Chi fu il primo a introdurre l’analisi infinitesimale su cui si è poi fondato lo sviluppo della matematica a partire dal Settecento? A contendersi, con fiero orgoglio, la priorità e la paternità di tale colpo di genio furono nientemeno che Isaac Newton e Gottfried Leibniz. Tra i due divampò una diatriba accesissima, intinta nel veleno. Da principio, in verità, il rapporto tra i due era stato cordiale: si scambiavano informazioni, frutto dei rispettivi studi, sui progressi compiuti in merito al calcolo infinitesimale. Ma quando Leibniz pubblicò, nel 1684 in Germania, l’articolo “Nova methodus”, l’idillio si trasformò in duello. Newton, letto l’articolò, cominciò a sospettare che Leibniz avesse “rubato” alcune sue intuizioni senza riconoscere la fonte dalle quali erano scaturite. Intuizioni, a detta del matematico inglese, che avevano contribuito a “sbloccare” il collega, rimasto irretito da un viluppo di equazioni che non era riuscito a districare. Insomma da quell’articolo appariva che fosse Leibniz il vero e unico inventore del calcolo infinitesimale, sulla base di risultati cui Newton era giunto circa vent’anni prima. Il fatto, però, è che Newton non aveva fino ad allora pubblicato nessun saggio sull’esito dei suoi studi. Quindi, non aveva aveva prove, solo indizi, per comprovare davanti al “tribunale” della comunità scientifica e accademica, che era lui ad avere ragione, e Leibniz torto. Non si fece certo attendere la replica del matematico tedesco, il quale contestò al rivale di non aver saputo tradurre le sue felici intuizioni in una costruzione scientifica compiuta, solida e fruibile. La querelle era destinata a superare la contingenza e a trascendere il contenzioso tra i due geni: lasciò infatti come eredità una acrimoniosa diatriba tra i matematici continentali e quelli britannici. Diatriba i cui echi non si sono ancora spenti.