Durante la guerra civile americana (1861-1865) The New York Times, fondato dieci anni prima dall’inizio delle ostilità, impiegò un nutrito stuolo di cronisti per coprire gli avvenimenti destinati a cambiare la storia del Paese. Fra i reporter desiderosi di farsi notare figurava Walt Whitman. Il suo nome, in qualità di poeta, già circolava da qualche tempo. Al momento del temporaneo incarico di corrispondente da Washington per The New York Times, Whitman era un impiegato governativo in un ufficio della capitale e, al contempo, prestava servizio volontario come infermiere negli ospedali dove venivano ricoverati i feriti di guerra. Poi, per arrotondare lo stipendio, faceva il freelance per alcuni giornali di New York.
Erano un po’ timidi i reporter che scrivevano gli articoli sulle vicende della guerra civile: probabilmente l’importanza degli avvenimenti e il già radicato prestigio del giornale incutevano loro un soverchiante timore reverenziale. Invece Whitman, senza ambagi, con uno stile spoglio e ben calibrato, si rivelò un corrispondente di punta, denunciando manifeste contraddizioni. Come quando non si fece scrupolo d ricordare che la maestosa sala da ballo, a Washington, la quale “ora ospita belle donne, soavi profumi e il dolce suono dei violini”, due anni prima era stata gremita da soldati feriti, alcuni con le membra amputate. “In quella sala adesso si respira aria di vita; prima si era respirato odore di morte” scriveva.
Il poeta celebrò la missione e il senso del dovere dei soldati semplici. Nello stesso tempo mostrò insofferenza riguardo ai resoconti “gonfiati” di gesta eroiche, o presunte tali, compiute dai comandanti e dai superiori in grado. Avendo prestato servizio negli ospedali e avendo offerto assistenza ai feriti, ben sapeva che cosa veramente significasse aver lottato sul campo. Alcuni soldati, successivamente intervistati da altri giornali statunitensi, dichiararono che Whitman aveva dimostrato una straordinaria sensibilità nei loro confronti. Seguendo con amore e cura la loro situazione, e prendendo nota anche dell’evoluzione di certe brutali ferite, Whitman salvò pure alcune vite.
I suoi articoli e il suo modo di percepire la realtà e le sue contraddizioni erano in sintonia con la politica del presidente Abraham Lincoln, impegnato a colmare il divario tra l’élite di Washington e il soldato semplice. Nel descrivere Lincoln, Whitman non concesse nulla all’elogio stereotipato. “Vestito sempre di nero, sembra come arrugginito e polveroso” annotava il reporter-poeta, che riconosceva al presidente un’aura carismatica che promana da una figura pur così dimessa.
La fama di Whitman, non solo dunque come poeta ma anche come reporter e come infermiere volontario si diffuse rapidamente, e finì per contagiare personaggi illustri, tra cui Oscar Wilde che “fece i salti mortali” – raccontano le cronache del tempo – per incontrarlo di persona. Quando a Whitman fu riferito che Wilde desiderava conoscerlo, da principio si defilò. Lo scrittore irlandese non si dette per vinto e gli fece pervenire alcune lettere in cui tesseva alte lodi per i versi “inarrivabili” di “Leaves of Grass”. Whitman, sensibile al plauso, acconsentì finalmente di incontrarlo. Gli spedì una missiva dicendo che si sarebbero visti a casa sua. Lo scrittore irlandese aveva letto per la prima volta “Leaves of Grass” quando aveva undici anni: era stata anzitutto sua madre a declamare quei versi. E quando la porta di casa di Whitman si aprì – anni dopo quel primo, elettrizzante contatto con il capolavoro del poeta – il sogno di Wilde divenne realtà.
