Tra Carducci e l’Europa vi fu un sostanziale dissidio. Tuttavia è un dissidio articolato, nutrito di azioni e reazioni, di gridata polemica e di tacito consenso. La sua formazione culturale fu basata, in un primo tempo, sui classici italiani, latini e greci. Solo in un secondo momento, quando la sua cultura era già pienamente formata, il poeta si avvicinò alla letteratura straniera. Nei suoi anni giovanili si fece deciso sostenitore di una specie di nazionalismo culturale, mai gettando lo sguardo al di là delle Alpi. Il mito di un primato italiano circolava con insistenza nelle ideologie risorgimentali, da Mazzini a Gioberti. Erano miti che, pur con tutti i difetti che comportavano, trovavano la loro ragion d’essere nella necessità di dare agli italiani una coscienza nazionale.
E’ vero – osserva Giampiero Carocci – che il classicismo del giovane Carducci poggiava sulla stessa motivazione, ma è altrettanto vero che quando egli si affacciava alla vita del pensiero, il Risorgimento stava approdando alla sua fase risolutiva, e già si rivelavano pressanti quei problemi che la sua conclusione avrebbe posto.
Alla radice di questi problemi vi era la constatazione che si stava dissolvendo il mito risorgimentale di un primato italiano soppiantato da una più umile realtà di un’Italia allo stesso livello delle altre nazioni europee. Il contestato “provincialismo” di Carducci trova origine nel fatto che la sua formazione risorgimentale (un risorgimento chiuso alle istanze europee) si prolungò per tutta la sua vita, la quale invece si svolse quasi per intero nel periodo posteriore al Risorgimento. Da questa prospettiva deriva la sfasatura tra l’immobilità del suo ideale nazionale, dedotto dalla tradizione classica, ed il contemporaneo dipanarsi della realtà italiana ed europea. Quello stesso atteggiamento “antistraniero”, proprio dei suoi anni giovanili, si trasformerà, con il passare degli anni, in uno degli elementi che determinano la sua critica al decadentismo. In questo contesto il poeta assunse, tra il 1884 e il 1889, una posizione antifrancese, corroborata dal fatto che, tramontati gli astri di Michelet, Quinet e Hugo, la letteratura d’oltralpe si stava avviando verso forme decadentistiche. Adirato, Carducci, nel 1894, scriveva: “Di letterature straniere l’Italia non legge che i francesi di questi ultimi anni. In letteratura ella è già un dipartimento della Francia. Nostra critica è la mobile nomenclatura di quel nuovo paese di effimeri, parnassiani, realisti, veristi, decadenti, raffinati, simbolici, mistici”.
Tuttavia coloro ai quali obiettavano che l’Italia non aveva una lingua moderna, Carducci rispondeva con argomenti da professore di retorica, ovvero gli sfuggiva – sottolinea Carocci – il legame tra la lingua e la società e vedeva soltanto il legame tra la lingua e la tradizione classica. Così chiosava il poeta: “Nella ignorante licenza di questo dilettantismo di spostati tutti i tristi abiti di nostra vecchia gente son rifioriti abbracciandosi alle sguaiataggini nuove”. In questa valutazione è dato di constatare un afflato etico. Del resto sin da giovane la sua ostilità al romanticismo fu in funzione non solo di un ideale nazionale, ma anche di un ideale morale. In tal senso, egli fu portato a condividere la tensione etica di De Sanctis, come comproverebbe questa sua affermazione: “Se l’Italia scrutando severamente il proprio petto vedesse di ritrovarvi o di svegliarvi quel sentimento della vita moderna, che ora non ha o malamente affetta imitando”.
Tale affermazione serve a indicare che Carducci si stava ponendo al di fuori di ogni schema classicistico, conferendo alla polemica antistraniera un’altra valenza. Tuttavia, mentre il poeta derivava questo aspetto dalla tradizione letteraria risorgimentale, De Sanctis seppe coniugare quest’imperativo etico nei termini di una concreta visione storica della realtà in cui viveva. In Carducci si avverte, invece, uno stacco fra questo imperativo e la realtà. Si è di fronte ad un imperativo – condiviso, con differenti gradualità di adesione, da Alfieri, Leopardi e Foscolo – che sconta il proprio limite nel dissidio tra il proprio io elevato ad un ideale aristocratico e il mondo circostante. Nel poeta viene quindi a svilupparsi un pronunciato antistoricismo, sebbene, per diversi aspetti, egli fosse dotato di un acuto senso storico. Il suo è l’antistoricismo proprio del moralista che non intende piegare il proprio ideale etico a nessun compromesso.
