Quando la sezione letteraria dell’Accademia delle Scienze di Pietroburgo assegnò all’unanimità il premio Puskin ad Anton Cechov per la raccolta “Nel crepuscolo”, lo scrittore dichiarò: “Sono felice come un uomo innamorato”. Dal giorno, riferiscono le cronache del tempo, cominciò ad essere conteso dai vari gruppi letterari di Mosca. Tuttavia il drammaturgo, non accettando etichette, prese le distanze da ogni tendenza e da ogni movimento. “Temo coloro che – cercando di leggere tra le righe dei miei lavori vogliono caparbiamente vedere in me un liberale o un conservatore – affermò – .Non sono né un liberale né un conservatore, né un evoluzionista né un monaco né un indifferente. Vorrei essere un artista libero e basta, e mi dispiace che Dio non me ne abbia dato la forza. Non sopporto la menzogna e la costrizione in ogni forma”. Cechov si scagliò poi contro il fariseismo, la stupidità, l’ingiustizia, che regnano non solo nelle case dei mercanti e nelle prigioni, ma anche negli ambienti della scienza e delle lettere, e tra i giovani”.
Anche nel lavoro letterario, come nella sua professione di medico, Cechov privilegiava la diagnosi alla terapia, l’impostazione del problema, non la soluzione. Per lui lo scrittore deve dare un quadro il più possibile obiettivo della realtà, del personaggio, della vicenda presa in esame. Le prediche e i messaggi stereotipati non sono “i ferri” del suo mestiere. “Credo che i romanzieri non debbano risolvere problemi quali Dio e il pessimismo – osservò -. Compito del romanziere è solo quello di rivelare come e in quali circostanze le persone hanno parlato o meditato su Dio o sul pessimismo. L’artista non deve essere il giudice dei suoi personaggi e di quanto dicono, ma solo un testimone imparziale”. Tocca ai giurati, ovvero ai lettori, formulare una valutazione. Al romanziere spetta la missione di saper distinguere ciò che è importante da ciò che non lo è, e saper rendere chiari i personaggi parlando la loro lingua.
In una lettera inviata all’amico Suvorin, scrisse: “In questo mondo è indispensabile l’indifferenza. Solo le persone indifferenti sono in grado di vedere le cose chiaramente. In me il fuoco brucia uniforme e indolente, senza improvvise vampate e senza scricchiolii. Ecco perché non commetto evidenti sciocchezze né atti decisamente intelligenti. Manco di passione”. E ad un’osservazione di Suvorin, che avrebbe voluto una più decisa condanna dei ladri nel racconto omonimo, lo scrittore replicò: “Voi mi rimproverate l’obiettività, chiamandola indifferenza verso il bene o il male, mancanza di ideali. Vorreste che quando dipingo i ladri di cavalli dicessi che è male rubare i cavalli. Ma lo sanno tutti da molto tempo, senza che debba dirlo io. Questo è affare dei giudici. Il mio lavoro consiste nello spiegare che cosa essi sono”. Sarebbe facile coniugare l’arte e la predicazione, ma questo legame esula dall’impostazione narrativa di Cechov, che preferisce affidarsi al lettore, sperando che “inserisca da solo gli elementi soggettivi che mancano nel racconto”.