Si configurò, per i cultori del sogno americano, come un’epopea di libertà e di amore, come un suggestivo paesaggio di venti, di fiumi e di orizzonti inesplorati l’”Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters. Fu un pensiero profondo il suo, rivolto a penetrare sia il ribollire della vita, sia il mistero della morte. Quel mistero che innerva il suo capolavoro, una raccolta di poesie in verso libero pubblicata tra il 1914 e il 1915. Ogni poesia racconta, in forma di epitaffio, la vita dei residenti di Spoon River, un immaginario paesino del Midwest, sepolti nel cimitero locale. L’opera miscela realtà e finzione, poiché l’autore si ispirò a persone veramente esistite nei paesini di Lewistown e Petersburg, vicino a Springfield, nell’Illinois, dove era cresciuto.
La dimensione reale acquista anche una carica polemica: molte delle persone a cui le poesie sono ispirate, che erano ancora vive al momento della composizione e della pubblicazione della raccolta, si dichiararono offese nel vedere esibite le loro storie private. Scrive Fernanda Pivano: “Lee Masters definiva questo libro qualcosa di meno della poesia e di più della prosa”. Nell’ambito di una struttura scarna, gli epitaffi rivelano un tono sempre narrativo e mai declamatorio. Di conseguenza, la voce dei protagonisti risulta spesso sfumata, in penombra, quasi vellutata. E’ dunque bandita una retorica stentorea. A dominare la scena è, al contrario, un registro narrativo asciutto e rigoroso, ma non per questo meno atto a far vibrare le corde del cuore ed accarezzare, con soavità, intelligenza e sensibilità.
“Il fiore della mia vita sarebbe sbocciato d’ogni lato se un vento crudele non avesse appassito i miei petali dal lato che vedevate voi del villaggio” lamenta, nel suo epitaffio, Serepta Mason, che aggiunge: “Dalla polvere levo la mia protesta. Il mio lato in fiore voi non lo vedeste! Voi, i vivi, siete davvero degli sciocchi e non sapete le vie del vento e le forze invisibili che governano i processi della vita”. Tali versi mostrano una forza dirompente nel criticare la miopia degli uomini incapaci di apprezzare il meglio dell’altro, fino a trasformare quel meglio in una bruttura e a seppellirlo nell’oblio.
