Negli ultimi decenni dell’Ottocento si assiste alla crisi del positivismo e delle modalità narrative ad esso conseguenti, quali il verismo e il naturalismo. Al contempo si registra l’affermarsi di un nuovo orientamento, dettato dal decadentismo. Tuttavia non ha luogo un ribaltamento immediato e radicale della prospettiva, piuttosto si sviluppa un graduale trapasso entro i cui confini coesistono opere differenti. Nello stesso anno (1881) sono pubblicati, infatti, “I Malavoglia” e “Malombra”; nello stesso anno (1889), vedono la luce “Mastro-don Gesualdo” e “Il piacere”. Insomma è dato di constatare una produzione letteraria che accoglie, nel segno di vari registri narrativi, realismo e simbolismo, rappresentazione cronachistica della realtà e aspirazione alla raffigurazione, di stampo evocativo, di un mondo di sentimenti e tensioni.
L’elemento più significativo di questa temperie letteraria è costituito dal trascolorare del verismo, che trova esemplare espressione nei romanzi di Antonio Fogazzato: “Malombra” (1881); “Daniele Cortis” (1885), “Il mistero del poeta” (1888), “Piccolo mondo antico” (1895).
In “Malombra” si coglie con una certa evidenza il distacco dal verismo, rivelato, anzitutto, dalla descrizione paesaggistica: i laghi e le montagne sono visti con una disposizione che non è più quella che aveva il suo sottofondo ideologico nel positivismo. Come ubbidendo a un fondamentale principio, Fogazzaro sceglie, con raffinato estetismo, i luoghi nobilitati dal fascino paesistico. Inoltre questa realtà, già accuratamente selezionata, è da lui sentita con una disposizione più lirica che descrittiva. Il proposito dello scrittore, come testimoniano tante pagine de “Il mistero del poeta”, è quello di cogliere suggestioni, voci nascoste, accordi segreti, velate corrispondenze tra i segmenti del mondo esterno e l’animo, convulso e tormentato, dei suoi personaggi.
Un tale contesto paesistico è la cornice più adatta per esprimere le inquietudini sperimentate dai diversi attori sulla scena, derivanti dallo scontro tra sentimento religioso e pulsione sensuale. Uno scontro che assume la gridata dimensione del conflitto ne “Il Santo” (1905), il quale, non caso, fu messo all’indice.
Pur con variazioni e approfondimenti, il personaggio delineato da Fogazzaro sarà destinato a durare a lungo nella tipologia letteraria: ambiguo e incerto, macerato nell’inclemente analisi che compie su di sé, logorato dal vano tentativo di neutralizzare le opposte suggestioni di misticismo ed erotismo. “In Corrado Silla, il protagonista di Malombra, comincia la malattia morale del decadentismo, quella che mette capo a Borgese e a Moravia” osserva Attilio Momigliano.
In Fogazzaro, poi, si assiste al declassamento – sul piano strettamente stilistico – dei canoni di rappresentazione propri del verismo, da lui usati solo per descrivere, come rileva Salvatore Guglielmino, “una realtà inferiore”, cioè i personaggi o aspetti di vita delle classi subalterne. Soltanto per questo specifico contesto lo scrittore vicentino ricorre all’osservazione realistica e puntuale, forgiata anche con un impasto linguistico dialettale. Di conseguenza la cifra narrativa di Fogazzaro fa svaporare il verismo nel facile bozzetto, negandogli così il diritto a rappresentare la totalità della realtà, le sue dinamiche e le sue contraddizioni.