Non ha altri ideali se non le sue noci, fra Galdino, che picchietta all’uscio della casa di Lucia annunciandosi con “un sommesso ma distinto” Deo gratias. Alla spalla sinistra pendeva la sua bisaccia, la cui “imboccatura” egli teneva “attorcigliata e stretta” con tutte le due mani sul petto. La descrizione che Manzoni fa di questa figura non è solo dettagliata sul piano realistico: è anche funzionale ad una lucida introspezione psicologica. In quella bisaccia, e in quelle noci in essa contenute, c’è tutto il mondo di fra Galdino: ecco perché la bisaccia se la tiene ben stretta. In lui si specchia, come scrive Luigi Russo, “l’egoismo del convento”.
Il cappuccino non fa in tempo a dire Deo gratias che subito dopo dichiara “Vengo alla ricerca delle noci”. Non ce ne era bisogno, perché tutti lo sanno, in quel contesto, che fra Galdino è “il frate cercatore”, e la bisaccia, del resto, parla per lui. Inoltre, finché Lucia non gli avrà dato le noci, rimarrà “diritto nella medesima postura”. Anche in questo illuminante dettaglio si specchia il patetico egoismo del cappuccino: resta “come statua d’ottone” in attesa dell’elargizione di Lucia. Solo dopo che avrà ottenuto le sospirate noci, la statua accennerà a muoversi, con studiata lentezza.
“Come va la cerca?”, gli domanda Agnese. Fra Galdino risponde: “Poco bene, buona donna, poco bene. Le son tutte qui”. Così dicendo, si toglie la bisaccia, “la fa saltar tra le due mani” e quindi mestamente afferma: “Son tutte qui, e per mettere insieme questa bella abbondanza, ho dovuto picchiare a dieci porte”. In questa espressione convergono avarizia, malizia e avidità, eppure sublimate in un ideale. Fra Galdino non mai parla per sé, ma sempre per il convento, e in quest’ottica egli tende a incarnare, con intima e ingenua fierezza, una sorta di missione. E in essa, bandendo ogni forma di diplomazia, il cappuccino si realizza.
Quando Agnese gli fa notare che “le annate vanno scarse e quando s’ha a misurar il pane, non si può allargar la mano nel resto”, fra Galdino immediatamente controbatte enunciando il nucleo della sua filosofia: “E per far tornare il buon tempo, che rimedio c’è, la mia donna? L’elemosina”. Per il cappuccino, chiuso e radicato nel suo universo, quello dell’elemosina è il canone di principio e di comportamento. Rivolgendosi sempre ad Agnese, afferma: “Sapete di quel miracolo delle noci, che avvenne, molt’anni sono, in quel nostro convento di Romagna?”. Quel suo canone viene fuori, allo scoperto, in ogni momento da lui ritenuto favorevole. Si manifesta con quella semplicità e grossolanità propria delle persone che hanno poche idee, e immutabili. Da questa prospettiva – in cui spicca la consueta ironia manzoniana – deriva, osserva Luigi Russo, “quella sua sollecitudine a spifferare il miracolo delle noci, come farebbe un ragazzo della sua lezione bene appresa”.
Il racconto del miracolo delle noci intessuto da fra Galdino unisce elementarità popolaresca e candido utilitarismo. Nel cappuccino vengono a coniugarsi una gretta umanità e un sublime universalismo cristiano di cui anche un uomo senza lettere come lui può essere penetrato. Attraverso il racconto, Manzoni salva l’umanità un po’ ottusa del piccolo frate e, al contempo, la grandezza della religione cui si ispira. L’utilitarismo che irretisce la logica di fra Galdino si esprime, in modo esemplare, nell’elogio sperticato che egli fa di quel gran noce che produrrà “più noci che foglie”. E quando a primavera lo vede carico di “fiori a bizzeffe”, la sua gioia non è certo di stampo georgico: il cappuccino è felice perché – sempre secondo il suo sentire utilitaristico – quel gran noce sarà, a tempo debito, carico di “noci a bizzeffe”.
Anche nei confronti di fra Galdino, comunque, viene in soccorso la signorile misericordia propria di Manzoni che del cappuccino non fa certo un ritratto lusinghiero, ma non infierisce. Anzi, lo scrittore lo redime, almeno in parte. Alla fine del racconto, infatti, Manzoni gli fa dire: “Noi siam come il mare, che riceve acqua da tutte le parti, e la torna a distribuire a tutti i fiumi”. In questa immagine, dal respiro epico, l’egoismo di fra Galdino viene sostituito dall’altruismo ispirato alla carità cristiana: sparisce così il convento e appare la casa di Dio, cioè la casa di tutti.
