Primi della classe in letteratura, ultimi della classe, o quasi, a scuola. Alcuni grandi scrittori russi non potevano certo vantare buone pagelle. Il poeta e drammaturgo Puskin era uno studente “mediocre”, come certificato dai documenti dell’epoca. Frequentò il liceo imperiale di Tsarskoe Selo, vicino a san Pietroburgo, fondato nel 1811 dallo zar Alessandro I per i figli delle famiglie più importanti del Paese. L’istituto era molto esigente, gli standard richiesti risultavano molto alti: tuttavia Puskin ci mise del suo. Confessava egli stesso di essere svogliato. Aveva una repulsione per il latino, e non nutriva un particolare trasporto per l’economia politica. In matematica aveva una “f”, ovvero il voto peggiore. Ma il germe della grandezza già covava in lui: il massimo dei volti lo aveva in “poesia russa”. Dopo qualche anno Puskin sarebbe stato considerato, nell’ambito della filologia, il fondatore della lingua letteraria russa contemporanea. L’Istituto a Mosca, che si prefigge la diffusione della lingua russa nel mondo, si chiama in onore dei meriti del letterato, Puskin: i suoi professori e i suoi compagni di classe non lo avrebbero mai potuto immaginare.
Il romanzo “Le anime morte” e il racconto “Il cappotto” sono da sempre considerati tra le meraviglie della narrativa russa: ma Gogol, pure lui, a scuola andava male. Era negato per l’apprendimento delle lingue straniere. Il suo insegnante di latino, Ivan Kulzhinskij, ebbe a dire: “Senza offesa posso affermare che quando Gogol si diplomò al ginnasio non sapeva coniugare correttamente un verbo in nessuna lingua”. Il ginnasio era quello di Scienze superiori nella città di Nizhyn, che era solito organizzare con intensa frequenza recite teatrali: Gogol non ne saltò nemmeno una. Un chiaro segno del luminoso destino che lo attendeva.
Cechov, dal canto suo, non riuscì mai ad andare oltre il “buono” nelle materie letterarie. In greco, poi, l’insufficienza era una costante. Era iscritto al ginnasio di Taganrog dove invece spiccava la bravura del fratello più grande, Aleksandr. Una volta un professore, Fjodor Pokrocskij, disse alla madre di Anton che da lui non sarebbe venuto fuori niente di buono. Poteva invece riporre fondate speranze per Aleksandr, studente diligente e assennato. La storia sarebbe andata diversamente: Anton diventò prima uno stimato dottore, poi uno scrittore di genio. Come si suol dire, il buon Fjodor non ci aveva certo visto lungo.
