In conformità ai movimenti letterari dell’imagismo e del vorticismo, che rispettivamente proclamavano il valore di un linguaggio conciso e di un dinamismo innervato di energia e forza, la poesia di Ezra Pound esercita un impatto bruciante e massivo. Non c’è verso che sia stato speso in modo stanco od ozioso: non ci sono riempitivi nel suo spartito poetico. Semmai – come rileva Massimo Bacigalupo nel dotto libro “Ezra Pound. Un mondo di poesia” (Milano, Edizioni Ares, 2022, pagine 408, euro 27.80) – è dato di constatare una contraddizione “fra il suo voler scrivere per tutti e il risultato che può parere esoterico”, sebbene lo sia meno di quanto appaia. Fabbrica testi con tutti gli strumenti e i materiali possibili, “sempre capace di convincere sé stesso (e magari noi) a seguirlo nel suo periplo”. Di lui, come sempre dei poeti, rileva l’autore, i posteri ricorderanno alcune “pagine incisive ed eloquenti”, ma il groviglio di passioni e tensioni che la sua vicenda presenta “non cessa di stupire e di sedurre”.
A collocare Pound nell’empireo dei poeti contribuisce in modo determinante il poema epico intitolato “I Cantos”, un inno al tema del viaggio, composto tra il 1915 e il 1962, e rimasto incompiuto. E’ considerato uno dei capolavori della letteratura modernista, la quale rompe con i tradizionali e compassati metodi di scrittura in funzione dell’esigenza di esprimere una nuova sensibilità, al passo con i tempi, sperimentando forme diverse sul piano linguistico e della dimensione narrativa. Non è certo facile comprendere il poema, almeno ad una prima seppure attenta lettura. Risulta, o può risultare, oscuro. Ci si imbatte in riferimenti spesso sibillini ad eventi come Pound li ha percepiti e trascritti. Si tratta di “un universo privato da cui derivano collegamenti la cui chiave possiede solo lui”, osserva Bacigalupo. Una chiave che introduce all’interno di un laboratorio letterario in cui s’intrecciano, con assidua frequenza – sotto l’egida dell’”Odissea” e della “Divina Commedia” presi a riferimento – citazioni dal greco, dal latino e dal cinese.
Nota con acutezza l’autore che in virtù dell’incrocio di suggestioni e letture, il quale prevede un lettore complice, disposto ad avventurarsi nel mondo di Ezra, si può dire che spesso “noi non leggiamo Pound, ma leggiamo con Pound” i testi che egli consulta, traendone note e spunti. Infatti “interi canti sono collages di citazioni, come se fossimo a lezione dal poeta-professore ed egli ci illustrasse la storia di Rimini o di Venezia prendendo a preferenza qualche antica cronaca come testo”.
Bacigalupo tiene comunque a precisare che “I Cantos” non è un libro “impenetrabile”. Non è vero che possa essere inteso solo da chi è in grado di rintracciare il significato degli echi e delle allusioni delle quali è permeato. I temi di fondo – il viaggio di scoperta, i momenti di passione, la lotta contro la decadenza per una rinascita ancorché confusa, la denuncia degli oppressori e monopolisti, la presenza di una condizione visionaria – sono “fin troppo chiari”: le note e citazioni sono la documentazione fornita dal poeta in veste di storico.
Il viaggio, elemento dominante de “I Cantos”, è il viaggio (anche in Italia) di Pound stesso. Puntualmente finisce con due o tre libri aperti sulla scrivania, interrogandosi sulla trasmissione dei testi di lingua in lingua, pagina in pagina. “Ciò non toglie – afferma Bacigalupo – che egli ci accompagni in molti luoghi e città, e che Ulisse resti una figura di riferimento dalla prima all’ultima pagina del poema”. Esso infatti si apre con un rifacimento del libro xi dell’Odissea, la discesa all’Ade, una cerimonia propiziatoria di viaggio per consultare gli spiriti del passato e decidere dove dirigersi in futuro. Pound sovrappone testi e tradizioni, traducendo una versione latina di Omero in un inglese che ha la cadenza della metrica anglosassone: un ritorno alle origini sia della poesia inglese che di quella mediterranea, che corrisponde, a livello testuale, al viaggio di Ulisse all’Ade. E come il viaggio dell’”Odissea” muove dalla guerra di Troia, così il viaggio dei “Cantos” prende le mosse dalla Grande Guerra.
Quando compose la sua versione della discesa all’Ade nel 1916-1917, Pound pensava ai caduti al fronte, tra i quali figuravano alcuni suoi amici. Il travaglio espressivo e politico del poeta – sottolinea Bacigalupo – si inscrive nel clima dell’entre-deux-guerres, e ben si comprende che un uomo che nel 1915 aveva trent’anni conobbe il trauma della fine di un mondo e fu stimolato ad una “febbrile” e “disorientata” ricerca di nuove vie per riportare la “pace”: parola, questa, che ricorre spesso nei primi Cantos.
Nel 1949 Eugenio Montale scriveva che Pound solo a Rapallo, da lui definita “umbelico del mundo”, si trovava “a casa sua”. Il poeta visse in Liguria dai quaranta ai sessant’anni (1925-1945), ovvero il tempo della maturità e del vigore. E anche il tempo di un’intesa attività editoriale. Con perentorietà Bacigalupo dichiara che Pound è il poeta straniero che più si è identificato con la Liguria, “esplorandola e scrivendone in maniera impareggiabile”. I “Canti pisani”, composti nell’estate del 1945 in un campo di detenzione per migliaia di soldati americani ad Arena Metato, sono costellati di immagini del Tigullio.: “La pioggia battè come con colore di feldspato/blu come il pesce volante al largo di Zoaglia…quando esce nell’aria/freccia viva”. Non c’è nulla di vago o di approssimativo nella poesia di Pound, intessuta di oggetti e di immagini. Ed illuminata dal guizzo di scatti fotografici.