Bandire la logica spicciola per rivendicare i diritti dell’immaginazione. Fu nel segno della valorizzazione della componente alogica che venne redatto il primo manifesto del surrealismo (1924). Il massimo esponente di questo movimento artistico e letterario d’avanguardia fu il poeta André Breton che, impregnato del magistero di Freud, perseguiva l’obiettivo di esprimere “una realtà superiore” rivelando gli aspetti più profondi della psiche. Per Breton era “inaccettabile” che il sogno e l’inconscio avessero avuto poco spazio nella civiltà moderna.
Nel lamentare che i processi logici si applicano unicamente alla soluzione di problemi di interesse marginale, Breton nel manifesto scrive: “Bisogna ringraziare le scoperte di Freud. In forza di tali scoperte si rende palese finalmente una corrente di opinioni per cui l’indagine umana si potrà spingere più lontano nelle proprie ricerche, autorizzata a non tener più solo conto di sommarie realtà”.
Il terreno nel quale il surrealismo affondò le sue radici è quello dell’irrazionalismo, inteso come un insieme di atteggiamenti che traggono origine dalla crisi dei canoni positivistici e delle fiducie scientiste. Teorizzando la novità della creazione surrealistica, Breton raccomandava l’uso di un procedimento inteso a legare, in modo casuale, due termini apparentemente lontani tra loro, allo scopo di suscitare “una luce particolare” di senso. “Nel ruscello c’è una canzone che fluisce” mentre “il giorno si spiegò come una bianca tovaglia” annota il poeta.
Breton divenne presto consapevole che la liberazione dell’individuo da pastoie e da freni attuata dal surrealismo sarebbe stata limitata e di corto respiro se essa non fosse stata sostenuta anche da una liberazione “sociale e collettiva”. In sostanza, occorreva sbarazzarsi di istituzioni e di tradizioni concepite come un ostacolo lungo il cammino di affrancamento del genere umano. In questo passaggio e in questa evoluzione del verbo surrealista risulta essere robusta l’influenza non solo di Freud, ma anche di Marx.
In tale prospettiva i surrealisti miravano a combattere “l’indifferenza poetica, la distrazione d’arte, la ricerca erudita, la speculazione pura”, aspetti questi che saranno ripresi, in modo organico, nel manifesto redatto nel 1930. I surrealisti, nello stesso tempo, tenevano a precisare di non voler avere nulla a che fare “con i piccoli o con i grandi risparmiatori dello spirito”. Tutti i cedimenti, tutte le abdicazioni, tutti i tradimenti possibili non potranno impedire agli aderenti al movimento di “farla finita con queste scempiaggini”.
Il surrealismo quindi viene a configurarsi come una sorta di automatismo psichico, basato sul processo in cui l’inconscio, quella parte della persona che emerge anche quando è sveglia, permette di associare parole, pensieri e immagini senza scopi inibitori. I surrealisti si avvalevano di diverse tecniche per attivare l’inconscio, come la tecnica del “cadavere squisito”, che poggia sulla casualità e sulla coralità. Essa prevede la collaborazione di più artisti. Uno di essi comincia l’operazione tracciando una figura che deve essere ignorata dagli altri. Successivamente il foglio deve essere passato a tutti i partecipanti, i quali, a loro volta, descrivono una figura. Questa tecnica venne utilizzata dai surrealisti anche in ambito poetico, aggiungendo uno per uno una parola, ignorando lo scopo finale dei singoli. Il nome della tecnica deriva, non a caso, da una poesia surrealista intitolata “Il cadavere squisito berrà il vino nuovo”.
