Michail Lermontov continua a disorientare i lettori. Più se ne studia la figura di uomo, più complesso risulta il suo profilo di scrittore. Il genio di Pushkin era integro e coeso, quello di Lermontov è invece intessuto di antinomie. Alle più aspre avversità Pushkin opponeva un profondo amore per la vita, mentre Lermontov si sentiva in armonia con il mondo solo sperimentando il dolore insito nell’esistenza, e soltanto da esso pensava di trarre la giusta ispirazione.
Lo scrittore nutriva una venerazione per Byron. Sin dall’età di sedici anni diceva di avere “la stessa anima e gli stessi suoni” del poeta inglese, e come lui si sentiva dotato di un’immaginazione “rigogliosa” e “luminosa” propria dei romantici. In realtà questa immaginazione, a differenza di quella coltivata da Byron, si nutriva anche di un robusto realismo, venato di scetticismo. Di conseguenza egli venne ad incarnare la figura dello scrittore romantico che – sentendosi sradicato e frustrato, in virtù di sogni arditi e di una sbrigliata fantasia – si rivolge con polemico cipiglio alla realtà per rivelarne brutture, bassezze e volgarità. E più forte è il suo temperamento romantico, più virulenta ed incisiva s’impone la sua denuncia.
Nel poema in versi intitolato “Il demone” scrive che la sua anima ha sempre amato “le blandizie” del mondo, ma non il mondo, nel quale ha vissuto “solo a sprazzi”, “solo a frammenti”. Questi momenti sono sempre stati “colmi di dolore”. Sulla stessa linea si pone la poesia “L’angelo” in cui immagina che una creatura alata lo conduca in un mondo fatto di “dispiaceri” e di “lacrime”. Questi versi – non esenti da un eccesso di autocommiserazione che rischia di risultare stucchevole – pongono Lermontov in una solitudine che non è solo sociale, ma anche cosmica. Sembra che il poeta sia stato calato nel mondo per errore.
Più di un critico ha rilevato che in forza di un giudizio inficiato da uno cupo pessimismo, i nobili sentimenti nel Lermontov uomo abbiano finito per caricarsi del segno opposto nel Lermontov scrittore. Così l’idealismo deluso diventa freddo cinismo, e la generosa bontà degrada in un rancoroso egoismo. L’innata tensione all’amore si svilirà allora in un’insolente indifferenza. Questo cambio di prospettiva rappresenta la ragion d’essere del suo capolavoro, “Un eroe del nostro tempo”, il cui protagonista, Gregorij Pecorin (un ufficiale dell’esercito imperiale russo) si erge a simbolo di una generazione di intellettuali alla ricerca, vana, di una causa per cui combattere, e minata dalla drammatica consapevolezza che anche “le migliori intenzioni” sono dal mondo ostacolate e vilipese.