Sembra vastissimo l’orizzonte della lirica pascoliana, che va dall’immensità dell’universo astrale ai rami del biancospino e alle farfalle crepuscolari. In realtà tale vastità si riduce ad una mera prospettiva fisica. Il mondo di Pascoli – scrive Giovanni Getto – è il mondo che si apre agli occhi dell’uomo che vive nei campi. Di conseguenza rimane a lui estraneo il paesaggio urbano e l’universo delle macchine. Per il poeta il treno altro non è che la via ferrata che attraversa la campagna con il suo fascio di fili metallici, “immensa arpa sonora, al vento”.
Va tuttavia rilevato che il poeta che vive in campagna non esaurisce la propria esperienza in una serie di oggetti caratteristici di un determinato paesaggio: egli ha con sé i suoi libri, i suoi classici, è raggiunto dal giornale e custodisce la memoria e gli affetti della sua famiglia. Questo scenario s’inscrive in una prospettiva ben determinata, identificabile con l’”angolo dell’anima”, con la “penombra dell’”anima”, con il “cantuccio dell’anima”. E’ questa l’atmosfera – evidenzia Getto – in cui nasce e si sviluppa la sua poesia. L’uditorio di Pascoli è quello da lui indicato, sia pure in senso metafisico. “Come scrittore e poeta – afferma – io suppongo sempre avanti a me un pubblico di fanciulli e fanciulle, e questa imaginata corona d’uditori innocenti dà a ciò che dico quella verecondia che non è virtù del mio animo, sì necessità del mio compito, gli dà non so qual persuasiva dolcezza”.
E’ nel tempo dell’infanzia che va cercata la radice della poesia cosmica di Pascoli. Nella prefazione ai “Canti di Castelvecchio” ricorda lo stile riflessivo appreso dalla madre. “Io sento – scrive – che a lei devo la mia abitudine contemplativa, cioè, qual ch’ella sia, la mia attitudine poetica. Non posso dimenticare certe sue silenziose meditazioni in qualche serata, dopo un lungo giorno di faccende”.
Nella visione cosmica di Pascoli occupa un posto privilegiato la luna. Quella luna che “Nel bosco” bacia con il suo mesto raggio il cipressetto e che nella “Primavera” diventa termine di un affettuoso colloquio intessuto dal poeta. Dalla luna alle stelle, quelle cadenti come un gran pianto in “X agosto”, e quelle solitarie del “Cuore del cipresso”. Cosmo e umanità sono i due riferimenti essenziali sui quali si basa la meditazione pascoliana. Una meditazione che si focalizza su uno iato di fondo: quello che separa l’insufficiente spazio terrestre e quello dell’immenso spazio celeste, il breve tempo umano e quello dell’infinito tempo astrale, l’oggi sociale e politico e l’eterno destino umano.
