Renzo, nell’ottica manzoniana, rappresenta l’antieroe della tradizione picaresca, un “pover’uomo” che si trova a difendere i propri diritti in un mondo cosparsi di insidie. Sarà destinato – nel suo viaggio dal contado di Milano – a sperimentare un itinerario di formazione durante il quale gli si rivelerà il mistero dell’esistenza. Toccherà a lui la parte di “protagonista vittima” che si scontra con quella realtà, al contempo semplice e complessa, che è la giustizia. La sua esperienza, in merito, comincia con l’incontro con don Abbondio, che lo introduce nell’universo dell’arbitrio.
Il prete, di fronte all’acre disappunto di Renzo che vede minacciato il proprio matrimonio, afferma che non si tratta di “torto” o “ragione”, ma solo di “forza” quando occorre misurarsi con le leggi che regolano la società. La viltà di don Abbondio si specchia in un’acuta riflessione fatta da Manzoni nel saggio “Osservazioni sulla morale cattolica”, in cui scrive: “Ogni potere ingiusto per far male agli uomini ha bisogno di cooperatori che rinunzino ad obbedire alla legge divina, e quindi l’inesecuzione di essa è la condizione più essenziale perché essa possa agire”.
Nella parte iniziale dei “Promessi sposi” la parola “giustizia è pronunciata solo di sbieco, risulta sfumata o contorta. Sarà Renzo a declamarla nella sua perfetta nudità ed evidenza durante l’incontro con Azzeccagarbugli (anche lui il termine “giustizia” lo sfiora in maniera subdola dicendo che “nessuno è reo e nessuno è innocente”). Quando il “pover’uomo” comincia a capire di stare all’interno di un sistema ambiguo e ipocrita, prorompe in una schietta esclamazione: “Io non ho minacciato nessuno, io non fo di queste cose. E domandi pure a tutto il mio comune, che sentirà che non ho mai avuto a che far con la giustizia. La bricconeria l’hanno fatta a me; e vengo da lei per ottener giustizia”.
Tuttavia Renzo non parla solo di giustizia, ma anche di vendetta (arriva addirittura a pensare all’omicidio). In Manzoni la giustizia si pone come negazione dell’arbitrio, e quando esso prevale – a detrimento dei sentimenti dell’individuo – la reazione, se non è disciplinata, rischia di trascendere i limiti della “buona creanza”. A disciplinare Renzo ci penserà fra Cristoforo che, quando si chiamava Ludovico, aveva commesso un omicidio. Quante cose aveva imparato il frate, dopo quel terribile episodio, in termini di equilibrio e di prudenza, contemperando “le ragioni del cuore e la ragione”.
Fra Cristoforo, sulla base della propria esperienza, ammonisce Renzo che “a metter fuori le unghie, il debole non ci guadagna”. Ma Renzo è ancora lontano dall’avere quella “pazienza” che il religioso gli consiglia. Nel frattempo si scatena l’ironia manzoniana, in occasione della “notte degli imbrogli” (relativa al goffo tentativo del matrimonio a sorpresa”. Con fine arguzia lo scrittore rileva: “Renzo, che strepitava di notte in casa altrui, che vi s’era introdotto di soppiatto, e teneva il padrone stesso assediato in una stanza, ha tutta l’apparenza di un’oppressore. Eppure, alla fin de’fatti, era l’oppresso. Don Abbondio, sorpreso, messo in fuga, mentre attendeva tranquillamente a’fatti suoi, parrebbe la vittima. Eppure, in realtà, era lui che faceva un sopruso”.
Quando, nel lazzaretto, Renzo – alla disperata ricerca di Lucia – non trovandola, esclama: “La farò io la giustizia”, entrerà di nuovo in scena fra Cristoforo, sdegnato per le parole di Renzo, perché lo vorrebbe già avviato sulla strada del perdono. Per immettercelo, gli rivelerà il suo passato dicendo: “Ho odiato anch’io…L’ho ucciso!”. E a Renzo che gli fa notare che la vittima era un “prepotente”, fra Cristoforo replica: “Credi tu che, se ci fosse una buona ragione per il mio gesto, io non l’avrei trovata in trent’anni?”.
Il frate ha dovuto compiere il male per apprendere la giustizia di Dio, che è giustizia, scrivo il critico Ezio Raimondi, del cuore “libero e paziente”. E la giustizia di Renzo si manifesta nel perdono accordato a don Rodrigo moribondo in un giaciglio del lazzaretto: “Io – dirà Renzo a don Abbondio, felice che quel “villano finalmente se n’è andato” – gli ho perdonato di cuore”.