Era temuto come saggista, Thomas Mann. Certamente la notorietà guadagnata sul versante critico non era pari alla celebrità legata alla dimensione narrativa. Tuttavia, all’epoca, il giudizio espresso da Mann su autori ed opere era sempre tenuto nella massima considerazione e seguito con privilegiata attenzione, non foss’altro che per confutare le argomentazioni da lui addotte. L’autore di romanzi come “I Buddenbrook” e “La montagna incantata” vergò pagine di esegesi letteraria punteggiate da illuminanti intuizioni: da Dante a Goethe, da Rousseau a Nietzsche il vaglio critico di Mann si rivelò sempre rigoroso e penetrante, alla luce di una smagliante competenza.
Spicca, nell’ampio ventaglio delle sue incursioni nel campo della saggistica, l’entusiastica valutazione del romanzo (incompiuto) “L’uomo senza qualità” dello scrittore austriaco Robert Musil. Nell’occasione, Mann smette i consueti, raffinati panni dell’oratore togato, dal linguaggio ornato da accademici formalismi, per vestire quelli, più ordinari, del lettore comune. Ma inguainato in questo abito apparentemente dimesso, il premio Nobel per la letteratura (1929) sferra un potente attacco contro coloro che non hanno compreso il valore di “uno dei grandi capolavori del Novecento”, il cui protagonista, Ulrich, incarna una specie di “uomo ideale”, che vive alienato dal mondo reale e che aspira a coltivare un sapere enciclopedico destinato a sfumare nell’oblio perché mai vivificato da interessi veri e da passioni autentiche.
Il romanzo, afferma Mann, ha bisogno di essere segnalato perché “in questa meschina realtà in cui viviamo, esso non viene acquistato”. A causa dell’esiguo numero di copie vendute, la casa editrice aveva annunciato che se l’opera non si fosse rivelata “un grande successo di pubblico”, si sarebbe di conseguenza estinto il supporto finanziario per la pubblicazione di un romanzo monumentale in continuo divenire. Sulla base di questa fosca prospettiva, Mann tuona e dichiara: “Tutto ciò è triste, fa paura e suscita vergogna”. E quindi, come arringando la folla, afferma: “Bisogna appellarsi all’opinione pubblica, occorre ammonirla affinché, a motivo del suo disinteresse, non si renda colpevole dell’inaridirsi di un’idea ardita, di un’impresa poetica straordinaria, il cui significato decisivo per lo sviluppo, per la crescita e per spiritualizzazione del romanzo tedesco è già oggi fuori discussione”.
Mann rileva che “auscultando” diversi ambienti culturali ha appreso che il romanzo di Musil non sarebbe “interessante”. Scatta, dunque, una nuova filippica: “Che cosa si intende per ‘interessante’? si chiede, con il tono tra l’accorato e lo stizzito. Da tempo il concetto di “interessante” è caduto in disuso o, meglio, ha subito una radicale rivoluzione. E non è certo su questo aggettivo che può fare perno un commento esaustivo su “L’uomo senza qualità”, un capolavoro “in perfetto equilibrio tra saggio e commedia epica”.
“Leggetelo! E’ un libro meravigliosamente arguto – esorta quindi Mann -. Fatevi illuminare e liberare dalla sua plastica spiritualità, e fatevi catturare dalla sua purezza, stando lontano dal chiacchiericcio volgare dei mistagoghi, dai miasmi di una letteratura guasta che appestano la Germania!”.
All’epoca alcuni benpensanti rimproveravano a Mann “un eccesso di diplomazia” nell’emettere, in qualità di saggista, una chiara sentenza sull’opera recensita. Una sentenza – ammonivano con sussiego – che mai doveva prestarsi come complice di fuorvianti interpretazioni. Dopo aver letto il giudizio di Mann su “L’uomo senza qualità”, probabilmente si ricredettero.