Ad accomunarli era il senso di una responsabilità etico-storica che investiva sia l’attività creativa sia il lavoro editoriale. Un terreno comune, condiviso con spirito di coscienza e dunque fertile per una corrispondenza di alto valore umano e culturale. Era il 19 maggio 1953 quando Leonardo Sciascia scrisse a Italo Calvino, funzionario dell’Einaudi, chiedendo un volume da recensire. Nell’occasione, lo invitò a collaborare alla rivista “Galleria”. E’ questo l’atto che avviò uno scambio epistolare – che continuerà fino alla morte di Calvino (1985) – integralmente ricostruito nel libro “Italo Calvino, Leonardo Sciascia. L’illuminismo mio e tuo. Carteggio 1953-1985”, a cura di Mario Barenghi e Paolo Squillacioti.
Nella prefazione Barenghi rileva che né l’uno né l’altro avevano la “tempra” del romanziere. La loro vocazione era per la misura media e breve. Al contempo condividevano la propensione alla saggistica e l’attenzione alla letteratura straniera. Ma il tratto distintivo è dato dall’impostazione di pensiero di tipo razionalistico, dal culto dell’esattezza e della lucidità, cui si legano la predilezione per una scrittura asciutta e veloce, e la tendenza a intrecciare la narrazione con l’indugio riflessivo.
Vi sono, ovviamente, anche differenze. La militanza politica di Calvino è concentrata nella prima parte della sua vita (la scelta resistenziale durante la guerra, l’uscita dal partito comunista italiano dopo l’invasione dell’Ungheria). Al contrario, Sciascia assume responsabilità politiche solo in età matura, quando è già uno scrittore affermato. Fu eletto in Parlamento: “fiancheggiatore per non breve tratto” del Pci, approdò poi alle file del partito radicale.
Scrosciano gli elogi in questo scambio epistolare. Nella lettera del 14 settembre 1971, a proposito del romanzo “Il contesto”, così Calvino scriveva a Sciascia: “Caro Leonardo, ho finito in questo momento di leggere ‘Il contesto’ divertendomi e appassionandomi moltissimo. Il finto giallo montato come una partita di scacchi nel gusto stevensoniano-chestertoriano-borgesiano è un genere che prediligo e tu l’hai tenuto con mano perfetta”. Dal canto suo, Sciascia dimostra una profonda stima per Calvino. Ogni testo cui pone mano viene subito sottoposto al suo giudizio, cui lo scrittore siciliano tiene “moltissimo”. In una missiva del 26 settembre 1960, Sciascia dichiara: “Tu sei il primo lettore, e il migliore che si possa desiderare”.
C’è spazio anche per i suggerimenti. A proposito del libro “L’antimonio” di Sciascia, Calvino, dopo essersi congratulato, afferma: “Il finale ‘Mi mandarono ad Ancona’ ha poco senso per un racconto compiuto. Finirei qualche riga più in su: ‘si era ricordata di me e mi offriva un posto d bidello in una scuola’”. E Calvino definisce “forzato” qualche punto in cui il protagonista cerca di giustificare il suo vocabolario troppo ricco. Sciascia non porrà indugio nel ringraziare sia del taglio che della rifinitura.
Il carteggio conosce uno dei più forti momenti di consonanza nella lettera del 23 settembre 1960. “Caro Sciascia – scrive -. Ho letto ‘Il giorno della civetta’. Sai fare qualcosa che nessuno in Italia sa fare, il racconto documentario, su di un problema, dando una compiuta informazione su questo problema, con vivezza visiva, finezza letteraria, abilità, scrittura sorvegliatissima, gusto saggistico quel tanto che ci vuole e non più, colore locale quel tanto che ci vuole e non più. Si legge d’un fiato”. Con animo grato, Sciascia risponde: “Sono contento, contentissimo, che il racconto ti sia piaciuto. E ti ringrazio molto: oltre tutto, per il favore di averlo subito letto”.
Calvino, nella missiva del 5 ottobre 1962, tesserà gli elogi anche de “Il Consiglio d’Egitto”, in cui Sciascia aveva saputo “animare” una ricostruzione d’ambiente e rendere i personaggi “persone umane”, ognuna con un suo mondo lirico-psicologico. Nel romanzo, sottolinea Calvino, “hai saputo fondere la tua passione di ricercatore di storia locale e il tuo gusto per la commedia satirica in una narrazione costruita con grande bravura sia narrativa sia di rappresentazione didascalica”. Ma Calvino è giudice imparziale e severo. Nonché saggio. Infatti consiglia vivamente a Sciascia di togliere le immagini moderne (l’attore di Broadway, Malraux, Chaplin) perché rappresenterebbero una “gravissima stonatura”. E’ una taglio da fare perché “in un’opera di poesia il piano delle metafore deve avere una sua coerenza, una sua armonia, se non è scrittura casuale, giornalistica”.
E Sciascia ringrazia.