E’ una sorta di manifesto programmatico “Giardino asciutto e fresco” (1921) di Paul Klee: partendo da una realtà analizzata nel dettaglio, l’artista svizzero ne amplifica e sviluppa le potenzialità immaginative, dando vita non solo a mondi e paesaggi che attingono sia al fantastico che al reale, ma esplicitando questa “contraddizione” anche a livello formale. I doppi contorni delle forme del quadro, infatti, raggiungono un livello di decorazione giocato sulla scomposizione dei piani e sull’alternanza di tre colori base, ovvero beige, ocra e grigio. L’opera si presenta come la descrizione di un mondo a sé, una specie di “hortus conclusus”, la cui esclusività viene sottolineata dalla doppia cornice, che avvicina la composizione ad un lavoro di miniatura. L’idea – centrale nella concezione pittorica di Klee – che il disegno costituisca il nucleo dell’espressione plastica e che il colore ne sia l’anima “irrazionale” si manifesta con evidenza in quest’opera, dal momento in cui l’interpolazione di leggeri piani cromatici dà come risultato un labirinto di segni grafici. Le parole scritte da Klee nel saggio “La confessione creatrice” possono essere lette come una didascalia a “Giardino asciutto e fresco”: “Una volta si rappresentavano cose che si potevano osservare sulla terra, che si vedevano volentieri. Ora si manifesta la realtà delle cose visibili e con questo si esprime il fatto che ciò che è visibile, in rapporto all’universo, è solo un esempio isolato e che altre verità sono latenti e innumerevoli. Le cose appaiono in senso lato e molteplice, e spesso si contraddicono le esperienze razionali del passato. Si tende a una decomposizione di ciò che è casuale”.