Non aveva ancora quindici anni quando un giorno, fissandosi allo specchio, disse a sé stessa: “Che cosa voglio fare nella vita, la ballerina o la cantante?”. Non avrebbe intrapreso nessuna delle due strade: la terza via, quella dell’attrice, l’avrebbe condotta alla fama, tanto da diventare una leggenda dei tempi d’oro di Hollywood. Eppure non vinse mai l’Oscar, Doris Day. Si era fatta conoscere, giovanissima, nel 1945, cantando con la sua voce dorata “Sentimental Journey”: una canzone che in breve tempo vendette milioni di copie. Ma la sua vera passione era la danza: tuttavia, quando si ruppe l’anca, una carriera che si preannunciava luminosa, fu stroncata sul nascere. Doris Day, che dietro ad uno smagliante sorriso celava un carattere di ferro, non si perse d’animo. Si cimentò quindi davanti alla cinepresa: non passò molto tempo prima che venisse notata.
L’immaginario collettivo l’ha identificata come “la fidanzata d’America”, anzitutto per il suo carezzevole candore e per la sua schietta sobrietà. Furono le commedie brillanti il contesto entrò il quale s’impose, riscuotendo il plauso di critica e pubblico. Recitò accanto a grandi attori, quali Rock Hudson e Cary Grant: basti pensare a “Il letto racconta” e a “Il visone sulla pelle”. Due capolavori dl genere, sostenuti da trame dal ritmo dinamico e da dialoghi spumeggianti.
In “Dieci in amore” ella è accanto ad un altro “mostro sacro” del cinema, Clark Gable. Recita la parte di un’insegnante di giornalismo: in alcune scene, in cui Doris Day riflette sulle luci e sulle ombre che screziano la missione della carta stampa, la sua recitazione è di livello eccelso. Indimenticabile è la sua performance nel film diretto da Alfred Hitchcock “L’uomo che sapeva troppo”, affiancata, questa volta, da un altro attore del massimo calibro, James Stewart. La scena in cui precipita in una crisi isterica, dopo aver appreso che il figlio è stato rapito, è degna di quell’Oscar che non le è stato mai dato.