Era l’autunno del 1921 quando David Herbert Lawrence, allora residente a Taormina, fece conoscenza dei romanzi e delle novelle di Giovanni Verga. Nelle sue lettere lo scrittore inglese manifestava un’aperta ammirazione per l’autore siciliano, di cui elogiava, in particolare, “una carica rivoluzionaria” potenziata da una prosa “ricca, dinamica e colorita”. Lawrence sottolineava la capacità di Verga di descrivere “con una accuratezza fuori del comune” i modi e i caratteri della gente di Sicilia, che egli stesso aveva imparato ad apprezzare in virtù di un lungo soggiorno nell’isola.
In una lettera, del 25 ottobre 1921, indirizzata alla scrittrice scozzese Catherine Carswell, Lawrence (che conosceva bene l’italiano) affermava che Verga stava esercitando su di lui “un fascino magico”. Di conseguenza si chiedeva se le sue opere maggiori erano state tradotte in inglese. A questo interrogativo intendeva dare una risposta provando egli stesso a tradurre tali opere. Tuttavia era ben consapevole della “colossale difficoltà” che avrebbe incontrato nel tentare di rendere, senza approssimazioni e sbavature, “il peculiare sapore” dell’idioma verghiano.
Il proposito della traduzione fu comunicato, qualche giorno dopo, anche allo scrittore e critico letterario Edward Garnett. Nella relativa lettera Lawrence, non senza una buona dose di immodestia, così si esprimeva: “Tradurre bene Verga è un compito terribilmente difficile. Ma è proprio questa difficoltà a tentarmi. Temo però che l’impresa possa risultare una perdita di tempo e credo che, alla fine, desisterò. Dubito – aggiungeva – che qualcun altro possa cimentarsi in questo arduo compito. Se lo facesse, non raggiungerebbe il livello di eccellenza che avrei ottenuto io se avessi inteso procedere”.
Di Verga egli elogiava tre principali qualità: l’intima e calorosa familiarità con il linguaggio colloquiale, la modernità della sua prosa pur impiegata per descrivere un mondo antico, il respiro epico de “I Malavoglia” e di “Mastro-don Gesualdo”. Dopo alcuni tentennamenti, Lawrence si accinse a tradurre quest’ultimo romanzo. In una lettera del gennaio del 1922 informava il suo agente di Londra, Curtis Brown, che era giunto a metà della traduzione dell’opera. Contava di finire il lavoro entro un anno. Fu di parola. L’edizione inglese di “Mastro-don Gesualdo” fu pubblicata all’inizio del 1923 a New York: la stessa edizione fu esposta nelle librerie di Londra due anni dopo.
Tuttavia l’accoglienza che ricevette il romanzo, sia negli Stati Uniti che in Inghilterra, non fu positiva. A Verga fu rimproverato di essere uno scrittore “fuori moda”. Profonda fu la delusione provata da Lawrence, che arrivò a pensare che egli stesso, con la sua traduzione evidentemente non esente da pecche, aveva potuto concorrere ad una valutazione certo non gratificante da parte della critica. Ma egli sapeva bene che il mondo dei “vinti” (dei contadini e dei pescatori) chiuso in una dimensione provinciale, finanche primordiale e segnato dalla miseria, aveva scarse possibilità di successo presso un pubblico che, invece, vedeva con favore romanzi dalle atmosfere sofisticate, punteggiati da personaggi di rango borghese e aristocratico, e impreziositi da un linguaggio aulico.
Lawrence, comunque, non si perse d’animo e tradusse alcune novelle del suo amato scrittore, tra cui la celebre “Cavalleria rusticana”.