Un quadro dichiaratamente controtendenza, “Il bevitore di assenzio” (1858-1859) di Edouard Manet testimonia l’insofferenza del pittore francese nei riguardi dei canoni accademici del maestro Thomas Couture. Il soggetto del dipinto, dunque, non è un soggetto storico onusto di gloria, ma è un antieroe, ovvero l’alcolizzato Collardet, personaggio noto all’epoca, che era solito frequentare l’area circostante il Louvre. Il dipinto – impostato su toni neri, grigi e marroni – è immerso nell’oscurità e quindi si stenta a individuare con sufficiente nitidezza la figura di Collardet, che è abbigliato con un cappello a cilindro e con un’ampia mantella. L’uomo sembra come stretto in uno spazio angusto e squallido, e, di conseguenza, viene messa in rilievo la sua misera figura di bevitore d’assenzio, Questo linguaggio pittorico attinge alla lezione di Gustave Courbet, il pittore realista che richiamava il dovere di esprimere le idee e i costumi attenendosi all’evidenza fattuale, raggiungendo così l’obiettivo di “fare dell’arte viva”. Ben consapevole che avrebbe suscitato una brusca reazione, Manet, prima di completare il dipinto, lo presentò a Courbet che, dicendosi “inorridito” dall’opera dell’allievo, dichiarò: “Un bevitore d’assenzio! Dipingi abomini come questo! Mio povero amico, sei tu il bevitore d’assenzio. Sei tu che hai completamente perso il tuo senso morale”. Anche i giudici del Salon, esposizione alla quale il dipinto fu inviato nel 1859, manifestarono la loro disapprovazione, bocciando all’unanimità l’opera, che riscosse il plauso solo dell’ormai anziano Delacroix.