Si riscontra una spumeggiante agilità di pennello nel dipinto, di Tiepolo, intitolato “Alessandro e Campaspe nello studio di Apelle”. Le figure sembrano in movimento, le espressioni vispe e vigili dei volti conferiscono alla tela ritmo e mobilità. La varietà dell’impasto cromatico contribuisce a dare al quadro rilievo e brillantezza. Il soggetto della composizione è desunto da un passo della “Historia naturalis” di Plinio il Vecchio, dove si narra che Apelle (il più famoso tra i pittori dell’antichità classica) impegnato a ritrarre nel suo studio la cortigiana Campaspe, amante di Alessandro il Grande, se ne innamora. Allora il condottiero, resosi conto della situazione, generosamente gli concede la donna. Secondo l’ipotesi corrente, Tiepolo avrebbe ritratto in Campaspe la moglie Cecilia e in Apelle sé stesso. Di conseguenza il dipinto è, da un lato, l’omaggio di Tiepolo alla bellezza della propria sposa; dall’altro, costituisce lo sfoggio dell’orgogliosa consapevolezza, da parte del pittore, delle proprie capacità, tale da spingerlo a dare il proprio volto al più celebrato artista del passato. In uno spazio che acquista profondità grazie ad uno squarcio di cielo collocato in alto sulla sinistra, sono esposte anche alcune grandi tele di soggetto mitologico e religioso, tra le quali si riconoscono un serpente di bronzo e un’immagine di Venere, che porge le armi a Enea. Evidente citazione da Paolo Veronese è il loggiato palladiano, a sinistra, davanti al quale si trova la statua di Ercole, derivata dal modello dell’”Ercole Farnese”, scultura ellenistica di Glicone di Atene, del terzo secolo d.C. Tale scultura risulta essere una copia dell’originale bronzeo creato da Lisippo nel quarto secolo a.C.