Non conobbe zone d’ombra la fortuna critica del capolavoro di Cervantes, “Don Chisciotte della Mancia” (1605). Appena uscito, fu salutato come il migliore “passatempo” per i malinconici e per i musoni. Una lettura, questa, probabilmente superficiale, ma certo non lontana dalle intenzioni dello scrittore spagnolo che, ispirandosi alla massima del poeta latino Orazio, “castigat ridendo mores”, mirava a denunciare – attraverso un’ironia, al contempo, sorniona e tagliente – i mali e le irredimibili storture della società. In Italia, sempre nel Seicento, l’accoglienza fu calorosa. L’opera si trova citata, tra l’altro, nella “Secchia rapita” del Tassoni e nel “Canocchiale aristotelico” del Tesauro. Fu l’Inghilterra il primo Paese a tradurre il “don Chisciotte”, nel 1612, grazie allo studioso Thomas Shelton. Nel Settecento la dominante cultura illuministica portò a focalizzarsi sui contenuti sociali del romanzo, e più che un “passatempo”, esso fu concepito come un solido riferimento per rivendicare il riscatto dalle ingiustizie. I comportamenti stravaganti del protagonista non furono interpretati come un’offesa alla ragione: al contrario, le spiazzanti bizzarrie costituivano la testimonianza di una logica inedita capace di scovare e di mettere a nudo anche le più recondite malefatte che segnano il mondo. Ma fu l’Ottocento a consacrare il successo del “don Chischiotte”, e fu in particolare la cultura tedesca a celebrare le lodi dell’autore, paragonato da Schelling ad Omero, per l’abilità dimostrata nel coniugare il genere epico e drammatico. Dal canto suo, Schlegel pose l’accento sul significato altamente simbolico dell’opera, che si specchia nel mai risolto conflitto fra la poesia e la prosa dell’esistenza umana. Anche la cultura russa tributò un convinto omaggio all’opera. Spicca, in questo scenario, il saggio di Turgenev “Amleto e don Chischiotte”. Nel mettere a confronto le due grandi figure del tardo Rinascimento europeo, lo scrittore dichiarava che “a differenza di Amleto, il cui ‘io’ è al centro del mondo, non esiste in don Chischiotte traccia di egoismo, perché in lui è tutto abnegazione e sacrificio”.